Huellas místicas en el Camino de Perfección
Huellas mìsticas en el Camino de Perfecciòn, in: El libro del Camino de Perfecciòn de Santa Teresa de Jesùs. Actas del Congreso Internacional Teresiano, Editorial Monte Carmelo, Burgos 2012, pp. 229-243.
Teresa will sonst nichts als leiden oder sterben.
Warum? Die Braut muß sich den Bräutgam so erwerben. [1]
Così Angelus Silesius, il grande poeta mistico del '600, celebra la Santa di Avila nel suo capolavoro, “ultima, grande raccolta della mistica occidentale”. [2]
Questa citazione non vuole essere un riferimento erudito, ma testimoniare che il “versificatore di Eckhart”, [3] erede della tradizione della mistica germanica - da Eckhart stesso a Taulero, dalla Theologia deutsch a Valentin Weigel, da Sebastian Franck a Jakob Boehme, fino all'amico e ispiratore Daniel von Czepko – non avverte affatto contraddizione tra “mistica dell'essenza” ( Wesensmystik ), e “mistica dell’ amore” ( Minnenmystik ), o “mistica sponsale” ( Brautmystik ).
Certo, la parola “mistica” ha avuto ed ha significati e valori diversi – tanto diversi da essere talvolta addirittura contrapposti – e questo complica notevolmente il discorso. [4] Nel mondo antico essa esisteva solo come aggettivo, che indicava il silenzio, e così intendeva rimandare alla indicibilità e alla impossibilità di “catturare”, per così dire, il Bene assoluto, che rimane sempre “al di là dell'essere”, [5] e dunque inattingibile quaggiù. Notiamo come questo concetto platonico sia anche evangelico: non rispose forse Gesù, a chi lo chiamava “maestro buono”, rifiutando questo aggettivo, giacché “nessuno è buono, salvo Dio soltanto?” [6] La parola “mistica” si impose come sostantivo solo in ambito cristiano, quando prese il significato di cognitio Dei experimentalis, dopo il medioevo, e soprattutto nell'età moderna, quando il divino viene determinato in forme specifiche, immagini, rappresentazioni, sensazioni, e così reso finito e solo in tal modo “esperimentabile”, ma soprattutto messo sotto controllo dall’ istituzione ecclesiastica.
È superfluo notare come questo significato moderno sia opposto a quello antico e, soprattutto, assolutamente inconciliabile con l'anima stessa del mistico, ovvero il distacco, e soprattutto il distacco dalla egoità, con cui scompare la appropriazione, la germanica eigenschaft, ovvero la propietad sanjuanista. [7] In esso non ha senso pensare ad una sorta di “cattura” del divino, o ad una “esperienza soprannaturale”, giacché il concetto stesso di soprannaturale appare in tutta la sua insostenibile contradditorietà: rimando a qualcosa al di là del limite, che pur è posto da noi, e quindi, implicitamente superato. [8] L'uomo interiore, scrive perciò Eckhart, [9] sfugge sempre a se stesso e sempre, proprio quando “è un solo fondo col fondo di Dio”, rifiuta l' appropriazione e la “cattura “del divino, che verifica sempre come il nome che diamo al valore supremo, nel momento stesso in cui pensiamo di averlo còlto e di essercene così appropriati.
Da un lato, dunque, c'è mistica come pensiero dell' Uno, che, proprio perché Uno-Tutto, non può dis -tinguere, entrare nel due e insieme, pensare il dys, il male – ovvero anche semplicemente opporre ciò che non è divino a ciò che lo è (ad esempio nella forma della opposizione divino-diabolico, che tanto ha segnato la storia della mistica cristiana, particolarmente nel periodo della Controriforma, e, come tutti sanno, anche per santa Teresa stessa).
Nella mistica come pensiero dell' Uno-Tutto, ogni cosa diventa “divina”, [10] ovvero la mistica si configura come esperienza estatica del quotidiano, nella quale il presente, ogni presente, assume le forme e la gioia infinita dell'essere, dell'Assoluto. Il divino allora non è un qualcosa, diverso o opposto ad altri qualcosa, bensì la forma essenziale delle cose, per cui tutte sono in qualche modo sua epifania, e sta all’uomo distaccato riconoscerla. Così pensava ad esempio Meister Eckhart, [11] o san Giovanni della Croce, [12] cui fa eco la Upanishad : “Di questo Tutto, nel distacco gioisci”. [13]
Dall' altro c'è una concezione positiva del divino, che è in un modo determinato, de-finito, ove l' uno è opposto al due, ovvero all’alterità, ed allora esso si può, eventualmente, esperimentare, “catturare”.
Questo va sottolineato perché la contraddizione è sempre interna alla mistica, nella quale coesistono alla meglio (ma talvolta assai male) entrambe queste concezioni - e ciò si verifica, ovviamente, anche per santa Teresa - il che rende difficile la trattazione del tema.
Non intendo perciò giudicare cosa sia “mistico” e cosa no, e sulla base di questo giudizio valutare se vi siano “tracce mistiche” nel Camino. Mi limiterò a interpretare santa Teresa con santa Teresa, prendendo il Castillo Interior come espressione più compiuta del suo itinerario spirituale e cercando di mettere in evidenza quanto, nel Camino, già manifesta o anticipa l'opera maggiore.
A scanso di equivoci dichiaro comunque che, non potendo determinare quanto una esperienza sia davvero del “divino” ( deum nemo vidit unquam, recita Gv 1, 18 ) – considero di valore più alto la dimensione di beatitudine propria dello spirito. Riprendendo infatti l'antropologia classica e cristiana, che individua nell’ uomo corpo, anima e spirito, in stretto rapporto reciproco ma anche in altrettanto netta distinzione e persino opposizione (basti pensare a 1 Cor 2, 14-15), dobbiamo dire che c'è una dimensione del piacere ( hedonè, voluptas ), che è quella dei sensi, del tutto accidentale; una dimensione della felicità ( eudaimonìa, felicitas ), che è quella della psiche altrettanto dipendente dalle circostanze; ma anche una dimensione della beatitudine ( makarìa, beatitudo ) al di sopra di ogni circostanza, che è quella propria dello spirito. Quest'ultima potremmo davvero chiamarla estatica, in quanto il soggetto è per così dire spersonalizzato, ovvero ha subìto una trasformazione ontologica, per cui trova in tutto una pace exsuperans omnem sensum, [14] “senza perché”. [15] In questo senso saremmo tentati di usare davvero l’aggettivo “divino”, giacché:
“Tu sei in Dio in proporzione al tuo essere in pace e non sei in Dio in proporzione al tuo non essere in pace. È in pace solo ciò che è in Dio. Tanto in Dio, tanto in pace”. [16]
II
Vediamo, dunque, innanzitutto quali siano gli esiti del Castillo, andando per così dire a ritroso, dalla sua conclusione. Nelle Moradas septimas e ultime la Santa scrive che:
“El fin es que los deseos de estas almas no son ya de regalos ni de gustos, como tienen consigo al mesmo Señor, y Su Majestad es el que ahora vive.” [17]
“Un desasimiento grande de todo, y deseo de estar siempre u solas u ocupadas en cosa que sea provecho de algùn alma” [18]
“La diferencia que hay aquì en esta morada es lo dicho: que casi nunca hay sequetad ni alborotos interiores de los que havìa en todas las otras a tiempos, sino que està el alma en quietud casi siempre”. [19]
“En este templo de Dios, en esta morada suya, solo El y el alma se gozan con grandìsimo silencio. No hay para qué bullir ni buscar nada el entendimiento [...] Aquì no se pierden las potencias, mas no obran, sino estàn como espantadas.
En llegando aquì el alma, todos los arrobamientos se le quitan” [20]
Non hanno alcuna importanza i godimenti o le consolazioni; si predilige la solitudine, il silenzio, come condizione più propizia al distacco da tutto. In tale distacco, nel silenzio, ove tacciono tutte le potenze dell'anima e l'intelletto non lavora, l'anima e Dio si godono la loro unione.
Viene spontaneamente da pensare all'esperienza di un'altra donna, Margherita Porete, che parla dell'anima “non più gioiosa, perché fatta la stessa gioia”, “pensosa senza tristezza, gioiosa senza dissolutezza”, in assoluto distacco. [21]
L'anima se ne sta tranquilla nel suo centro, ovvero fondo, che è lo spirito:
“En metiendo el Señor a el alma en esta morada suya, que es el centro de la mesma alma, ansì como dicen que el ciel impìreo – adonde està Nuestro Señor – no se mueve como los demàs, ansì parece no hay los movimientos en esta alma, en entrando aquì, que suele haver en las potencias y imaginaciòn, de manera que la perjudiquen ni la quiten su paz […] Este centro de nuestra alma – u este espìritu - [22]
Qui niente può dare fastidio:
“naide entra en aquella, que la haga quitar de allì; ni las cosas que oye, aunque le dan alguna pena, no es de manera que la alboroten y quiten la paz; porque las pasiones estàn ya vencidas.” [23]
Un parallelismo preciso è nelle parole di Meister Eckhart: le potenze possono essere affette, ma il centro, o fondo, dell'anima, permane assolutamente fermo, così come quando la porta si apre o si chiude: si muove il battente, ma il cardine resta fermo. [24]
“Esta secreta uniòn pasa en el centro muy interior del alma, que deve ser adonde està el mesmo Dios, y a mi parecer no has menester puerta por donde entre”. [25]
Nelle “grazie” in precedenza descritte erano necessari i sensi e le altre potenze dell'anima, mentre nel matrimonio spirituale Dio appare nel centro dell'anima senza visione immaginaria, ma solo intellettuale. Infatti nel matrimonio spirituale:
“siempre queda el alma con su Dios en aquel centro. Digamo que sea la uniòn, como si dos velas de cera se juntasen tan el estremo, que toda la luz fuese una, u que el pabilo y la luz y la cera es todo uno”. [26]
Il paragone è comune nella storia della mistica, simile a quello del fuoco che incendia il legno e lo trasforma in fuoco, senza più differenza alcuna, [27] ecc.
Particolarmente rilevante è l'esperienza che la Santa fa, anche senza saperla spiegare, della unità ma anche della distinzione tra anima e spirito e, più rilevante ancora, del fatto che l'anima è “cosa differente dalle potenze” [28]
“aunque se entiende que el alma està toda junta […] por donde decia yo que se ven cosas interiores, de manera que cierto se entienda hay diferencia en alguna manera, y muy conocida, del alma a el espìritu, aunque mas sea todo uno. Conòcese una divisiòn tan delicada, que algunas veces parece obra de diferente manera lo uno de lo otro, como el sabor que le quiere dar el Señor. Tambien me parece que el alma es diferente cosa de las potencias, y que no es todo una cosa”. [29]
Un assoluto parallelismo con l’insegnamento eckhartiano per cui Dio deve ( Gott muß ), di necessità ( von Not ), proprio come la natura ha horror vacui, scendere nell’anima che ha fatto il vuoto in e di se stessa:
“es muy cierto que en vaciando nosotros todo lo que es criatura y desasièndonos de ella por amor de Dios, el mesmo Señor la ha de hinchir de Sì”.
Il vuoto, su cui insiste tanto Giovanni della Croce, è ciò che l’anima deve fare. Infatti le anime devono
“apartase en ellos todo lo que es corpòreo en el alma y la dejase en puro espìritu, para que se pudiese juntar en esta uniòn [30]
Nelle Moradas sextas sottolineiamo il distacco dal mondo e dalle creature:
Non bisogna infatti stimare “este mundo, que es todo mentira y falsedad y como tal no es durable.” [31]
Infatti nelle creature non c'è verità: “El (Dios) solo es verdad, que no puede mentir; y dase bien a entender David en un salmo, que todo hombre es mentiroso.” [32]
Proprio come afferma Eckhart, infatti, la creatura è nulla, male e menzogna, per cui non può coesistere con Dio : deve uscire, se Dio deve entrare. [33] Chi pensa il contrario, sta mentendo:
“Dios es suma verdad, y la humilidad es andar en verdad; que lo muy es grande no tener cosa buena de nosotros, sino la miseria y ser nada, y quien esto no entiende, anda en mentira”. [34]
Nelle Moradas quintas sottolineiamo il “niente sapere” dell’anima, [35] che però non dubita affatto della sua unione con Dio. Infatti l 'anima non sa niente, il suo intelletto è sospeso, ella non vede e non sente nulla. Ma Dio si imprime in lei, per cui non può dubitare in alcun modo che Dio sia stato in lei ed ella in Dio, [36] e non si tratta dell'unione di una sola potenza con Dio, ma di tutta l'anima – altrimenti non vi sarebbe questa certezza. [37]
Sottolineiamo anche che questa unione non si compie con i nostri sforzi, con le nostre “diligencias”, [38] perché esse non possono nulla, ma è Dio che introduce nella “cella vinaria”. Noi, infatti, proprio come insegna ancora Meister Eckhart, [39] non possiamo entrarvi con i nostri sforzi:
“Su Mayestad nos ha de meter y entrar El en el centro de nuestra alma, y para mostrar sus maravillas mejor, no quiere que tengamos en ésta màs parte de la voluntad, que del todo se le ha rendido, ni que se le abra la puerta de las potencias y sentidos, que todos estàn dormidos; sino entrar en el centro del alma sin ninguna, como entrò a sus discìpulos, cuando dijo: Pax vobis, y saliò del sepulcro sin levantar la piedra”. [40]
Sottolineiamo qui l’ assenza della volontà, [41] completamente rimessa a Dio, nonché l’ “assopimento” delle potenze dell’anima e dei sensi, [40] in un silenzio che è come una ignoranza.
Infatti l'anima, come trasformata da verme a farfalla,
“no sabe de dònde pudo merecer tanto bien (de dònde le pudo venir, quise decir, que bien sabe que no le merece)”, tanto che “Yo os digo de verdad que la mesma alma no se conoce a sì”, ma la trasformazione avviene “quitando nuestro amor proprio y nuestra voluntad, el estar asidas a ninguna cosa de la tierra”, ma anche “puniendo obras de penitencia, oraciòn, mortificaciòn, obediencia, todo lo demàs que sabéis”, finché “muera, muera este gusano, como lo hace en acabando de hacer para lo que fué criado”, giacché solo “cuando bien muerto està a el mundo, sale una mariposa blanca”. [43]
Anche per Teresa, l'anima ignora come sia avvenuto quello che le è avvenuto – anzi, non conosce se stessa [44] – ma sa soltanto che ha abbandonato l' amor sui e la volontà. Questo costituisce una sorta di morte, [45] morte al mondo, ma anche a se stessa – in quanto morte a tutte le operazioni che essa può compiere stando nel corpo:
“Hasta el amar, si lo hace, no entiende cómo, ni qué es lo que ama, nì que querrìa; en fin, como quien de todo punto ha muerto al mundo para vivir màs en Dios, que ansì es una muerte sabrosa, un arrancamiento del alma de todas las operaciones que puede tener, estando en el corpo; deleitosa, porque aunque de verdad parece se aparta el alma de él para mejor estar en Dios...” [46]
III
Veniamo ora al Camino, partendo invece dall'inizio. La Santa è estremamente chiara e sintetica nel delineare le condizioni essenziali del Camino stesso, che non vogliono essere e non sono affatto discordi dalla tradizione. Sono tre : amore, distacco, umiltà.
Rileviamo qui innanzitutto il legame amore-distacco, che non sono elementi opposti, ma, al contrario, simmetrici e complementari: amore è distacco dal proprio io e dall’utile, dimenticandosi di sé nel bene; distacco è amore, perché è possibile distaccarsi dall’egoità solo in rapporto con qualcosa di più alto dell’ego, secondo il cammino mirabilmente descritto nel Convito platonico; [47] ma soprattutto rileviamo il primato dell'umiltà, chiave di ogni virtù - virtù regina, anche nella mistica cosiddetta speculativa. [48]
IV, 4: “No penséis, hermanas mìas, que seràn muchas las cosas que os encargaré; sólo deséo que hagamos lo que nuestros Santos Padres ordenaron y guardaron, que por este camino mercieron este nombre de santos. Solas tres cosas me extenderé a declarar, pues son de la Constituciòn; porque importa mucho que entendamos lo muy mucho que non va en guardarlas para tener exterior e interiormente la paz que tanto encomendò Nuestro Señor: la primera cosa es amor unas con otras; la segunda, desasimiento de todo lo criado; la ùltima es verdadera humildad, que, aunque la digo a la postre, es muy principal y las abraza todas”. [49]
Il distacco è distacco dal mondo, ma soprattutto da se stessi – e questo non può non rimandarci al passo fondamentale delle Istruzioni spirituali di Eckhart:
“Cosa si deve fare dunque? Bisogna prima di tutto distaccarci da se stessi: così si abbandona tutto. In verità, se un uomo abbandonasse un regno o il mondo intero e mantenesse se stesso, non avrebbe abbandonato nulla. Invece chi si distacca da se stesso si distacca da tutto, anche se mantiene ricchezza, onori e tutto quanto. Infatti chi abbandona la propria volontà e se stesso abbandona tutte le cose, come se fossero in sua proprietà e pieno possesso”. [50]
Infatti:
X, 1 “Desasièndonos del mundo y deudos y encerradas aquì con las condiciones que estàn dichas, ya parece que lo tenemos todo hecho y que no hay ya que pelear con alguno. ¡Oh hermanas mias!, no os asegurèis y os echèis a dormir, que serà como el que se acuesta muy sosegado, habiendo muy bien cerrado sus puertas por miedo de ladrones y se los dejas en casa. Ya sabèis que no hay peor ladròn para la perfeciòn del alma que el amor de nosotras mismas, porque si cada una non anda con gran cuidado y, come en negocio màs importante que todos, no se mira mucho en andar contradiciendo su voluntad, hay muchas cosas para quitar esta santa libertad de espìritu, con la qual podìa volar a su Hacedor sin ir cargada de tierra y de plomo”. [51]
Nello stesso capitolo la Santa rileva il legame tra distacco da se stessi e amore reciproco:
“Y han os hecho gran merced, que en esta casa lo màs està hecho, puesto que este apartarnos de nosotras y ser contra nosotras es recia cosa, porque estamos muy juntas y nos amamos mucho”. [52]
Come pure il profondo rapporto tra umiltà e distacco da se stessi, ovvero rinuncia alla volontà propria:
“Aquì puede entrar la verdadera humildad, porque esta virtud y estotra [contradir su voluntad] paréceme que andan juntas; son dos hermanas que no hay para qué apartarlas”. [53]
Dopo aver detto che è essenziale che lo spirito domini sul corpo, la Santa prosegue rilevando l'importanza di non prendersi cura di se stessi e delle proprie soddisfazioni:
XII, 2 “Torno a decir que està el todo o gran parte en perder el cuidado de nosotras mismas y de nuestro regalo.” [54]
Ancora una volta in perfetto accordo con le Istruzioni spirituali di Eckhart, [55] Teresa nota che nessuna condizione esteriore è tanto forte da poter impedire il distacco e l'umiltà, sempre uniti :
“en cada parte puede el alma perfecta estar dasasida y humilde – aunque con màs trabajo suyo, que gran cosa es el aparejo -;” [56]
Procedendo avanti nell'opera, la dimensione interiore, spirituale, si fa sempre più netta. Il cielo in cui risiede Dio non è solo e tanto il cielo esteriore, ma il profondo dell'anima:
XXVIII, 2 : “Ya sabéis que Dios està en todas partes. Pues claro està que adonde su majestad està, està el cielo – sin duda lo podéis creer – y toda la gloria. Pues mirad que dice San Agustìn che le buscaba en muchas partes y que le vino a hallar dentro de sì mismo”. [57]
Per cui chi impara a ritrarsi in “questo piccolo cielo dell'anima nostra, dove risiede il Creatore”, farà in breve molta strada nell'itinerario spirituale:
XXVIII, 5: “Las que desta manera se pudieren encerrar en este cielo pequeño de nuestra alma – adonde està el que la hizo a él y a la tierra – y acostumbrare a no estar adonde se distraigan estos sentidos exteriores, crea que lleva buen camino y que no dejarà de llegar a beber del agua de la fuente – con el favor de Dios –, porque camina mucho en poco tiempo”. [58]
Il segreto è il distacco, che – come insegna sempre Eckhart [59] - può e deve essere esercitato anche nella azione:
XXIX, 5: “Vase ganando esto [el encerramiento de las potencias en sì mismas] de muchas maneras, come està escrito en algunos libros, que nos hemos de desocupar de todo para llegarnos interiormente a Dios, y aun en las mismas ocupaciones retirarnos a nosotros mismos”. [60]
Quello che davvero conta è la sottomissione della volontà, cui spetta il primato rispetto alle altre facoltà:
XXXI, 8: “Ansì que la voluntad cuando se ve en esta quietud no haga caso del entendimiento – o pensamiento o imaginaciòn, que no se lo que es – màs que de un loco, porque si le quiere traer consigo forzado ha de inquietar y ocupar algo”. [61]
La profonda letizia nell'orazione riguarda infatti la volontà:
XXXI, 10: “Ansi que – como digo – en sintiendo en sì esta oraciòn, que es un contento quieto y grande de la voluntad (sin saberse determinar de qué es señaladamente, aunque bien se determina que es diferentìsimo de los contentos de acà, que no bastarìa señorear el mundo con todos los contentos de él para sentir en sì el alma aquella satisfacciòn que es en lo interior de la voluntad) que otros contentos de la vida paréceme a mì que lo goza lo exterior de la voluntad, como la corteza de ella, [62]
Nel cap. XXXII commenta il versetto del Pater Fiat voluntas tua e, come si è visto per il Castillo, nega che servano a qualcosa le “industrie”, perché quel che solo conta è la rinuncia alla volontà propria:
“Y en ella – como ya tengo escrito – ninguna cosa hacemos de nuestra parte, ni trabajamos ni negociamos, que todo lo demàs estorba; basta decir con verdadera determinaciòn: fiat voluntas tua ”. [63]
Non meraviglia perciò che nella conclusione dell'opera siano sempre la volontà e la rinuncia ad avere il primo posto:
XLII, 4: “¡Oh, cuàn otra vida debe ser ésta [del ciel] para no desear la muerte! ¡Cuàn diferentemente se inclina nuestra voluntad a lo que es la voluntad de Dios! Ella quiere que queramos la verdad, nosotros queremos la mentira; quiere que queramos lo eterno, acà nos inclinamos a lo que se acaba; quiere queramos cosas grandes y subidas, acà queramos bajas y de tierra; querrìa quisiésemos sólo lo seguro, acà amamos lo dudoso. Dejemos a su voluntad el dar – pues ya le tenemos dada la nuestra –, y sea para siempre santificado su nombre en los cielos y en la tierra, y en mì sea siempre hecha su voluntad. Amen.” [64]
È dunque evidente che nel Camino in primo piano è il distacco, soprattutto il distacco da se stessi, dunque la rinuncia alla propria volontà, preparata dalla umiltà, morendo al mondo e facendo il vuoto in se stessi. E siccome, come la stessa Santa dichiara e già abbiamo visto, nel vuoto entra Dio, la grazia - ossia si ha una quella esperienza di beatitudine che abbiamo indicato come essenziale – crediamo poter concludere che l’opera non è solo ascetica, ma anche a pieno titolo “mistica”.
Certo, non vi sono riferimenti alle esperienze estatiche di cui Teresa fu protagonista, ma, come abbiamo sottolineato all’ inizio, in conclusione al Castillo si afferma esplicitamente che non hanno importanza alcuna e che, anzi, alla perfezione dell’anima esse scompaiono del tutto – o quasi: Non in commotione dominus. Le “grazie” non hanno un’ importanza determinante: come insegna anche Eckhart, la grazia – non le grazie ! – non sta nelle potenze dell’anima, e non le tocca affatto, [65] ma sta solo nel fondo dell’anima, giacché “Dio, la grazia e il fondo dell’anima sono la stessa cosa”, [66] ein einig Ein, un unico uno, proprio come due candele fuse in una sola. [67]
Né, del resto, dobbiamo pensare che mistica significhi l’eccezionalità estatica, o una qualche modalità “particolare” di cattura del divino, ma, al contrario, quel distacco, quell’amore, con il quale tutto il mondo diventa un paradiso – un “sobborgo dell’eternità”, come scrive l’ Anonimo Francofortese. [68]
Io sono fiorentino e mi piace citare qui, in proposito, le parole di una mistica carmelitana che era, appunto, fiorentina e che – lo sottolineiamo – è stata anche una grandissima estatica: santa Maria Maddalena de’ Pazzi. La specie suprema di amore è quello che lei chiama “amore morto”:
“il quale non desidera, non vuole, non brama e non cerca cosa nessuna, però che l’anima che possiede questo amore, per la morta relassazione che ha fatta di sé in Dio, non desidera conoscerlo, intenderlo, né gustarlo. Nulla vuole, nulla sa e nulla vuol potere. E tanto s’umilia se gli fussi detto che la fussi Dio, quanto se gli dicessi che la fussi un demonio. E tanto s’inalza quando gli fussi detto “tu hai a fruire il paradiso”, quanto “tu hai a andare nell’inferno”, perché la pena non gli è pena e la gloria non la cerca, vivendo al tutto come morta”. [69]
La santa fiorentina parla qui come Eckhart : il supremo amore è il supremo distacco (“relassazione”), con cui nulla si ama - homo divinus nihil amat - [70] e così tutto si ama, in una perenne, estatica letizia.
IV
Quanto abbiamo sopra appena accennato risponde anche, implicitamente, alla questione di quale sia il valore del Camino per noi, che viviamo in un’epoca post-cristiana, o addirittura post-religiosa e comunque dopo l’ Illuminismo, dopo la scienza e la filologia contemporanee - intendendo per Illuminismo, secondo le parole di Kant, l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità, ossia quel coraggio di sapere - Sapere aude -, che si rivolge con onestà anche verso il “divino”. [71]
Paradossalmente io credo che proprio per questo l’opera di Teresa sia essenziale nella contemporaneità: perché si tratta di un cammino interiore, ove la verità è trovata in interiore homine, dove la Verità davvero “abita”, [72] indipendentemente anche dalle teologie. Non scriveva forse san Pedro de Alcàntara alla Santa di esser rimasto molto sorpreso nel vedere che ella si voleva rimettere al giudizio dei teologi in una questione non di loro competenza come quella della perfezione, nella quale bisogna chiedere consiglio solo a chi la pratica? [73]
Infatti la via del distacco - perché di questo essenzialmente si tratta nella mistica, da Plotino ai giorni nostri, in Oriente come in Occidente - non ha bisogno di ideologie, e neppure di teologie: anzi, ad esse dà congedo come a legami e forme rappresentative inferiori. È vero che Teresa tiene ben ferma l’umanità di Cristo, ma questo perché distacco e amore sono, come si è detto, strettamente legati, e l’umanità di Cristo è per lei termine di riferimento essenziale di un amore che rischia di essere altrimenti evanescente. Resta comunque il fatto che ci si trasforma in quel che si ama, [74] per cui nell’ amore /distacco - che è, esso solo, amore del Bene e non di se stessi- [75] ci si unisce al Bene trasformandosi nell’Amore stesso, non con un accidentale presunto “sapere” ma con una reale trasformazione ontologica, un mutamento dell’ essere, con la beatitudo che porta con sé.
Non a caso il poeta mistico, con cui abbiamo aperto questa relazione e con cui anche la chiudiamo, intitola “Si deve essere l’essere” un distico che è, appunto, sull’amore:
Lieb üben hat viel Müh: wir sollen nicht allein
Nur lieben, sondern selbst, wie Gott, die Liebe sein. [76]
Crediamo che questa esperienza, questa realtà, non sia affatto negata o invalidata dal presente, ma al contrario: il presente – ogni presente, come ogni futuro – le rende e le renderà onore.
Marco Vannini
[1] “Null' altro vuol Teresa che patire o morire./Perché? Così deve la sposa conquistarsi lo sposo”. È il distico III, 133, intitolato “Von der hl. Teresa”, de Il pellegrino cherubico (cfr. la ed. it. bilingue, a cura di G. Fozzer e M. Vannini, San Paolo, Cinisello Balsamo 1992, p. 229).
[2] Così lo definisce Hans Urs von Balthasar nel suo Nachwort a Angelus Silesius, Dich auftun wie die Rose, Einsiedeln 1954, p. 98. Nelle Cause e moventi della sua conversione alla Chiesa cattolica, VII (cfr. Il pellegrino cherubico, cit., p. 424), Silesius ribadisce che “Con grande zelo la Chiesa cattolica spinge all'esercizio delle virtù e tiene in grande stima la mistica arte dell'unione con Dio, con la quale l'uomo viene condotto alla contemplazione divina. Il primo elemento è testimoniato dagli innumerevoli scritti ascetici, sia di autori antichi, sia di moderni; il secondo in particolare dalle istituzioni fondate da san Francesco, da sant' Ignazio della Compagnia di Gesù, da san Giovanni della Croce, primo dei Carmelitani scalzi, dalla santa vergine Teresa. Essi hanno esercitato interiormente questa divina arte non solo per se stessi e, come serafini ardenti, hanno goduto dell'amore e della contemplazione del loro Creatore (per quanto possibile in questa vita mortale), ma hanno anche insegnato e condotto a ciò i loro seguaci. Ancora ai giorni nostri questi proseguono lodevolmente, con la vita e gli scritti, sull'esempio dei fondatori”.
[3] Così lo definisce Reiner Schürmann nel suo Maître Eckhart ou la joie errante, Paris 1972, p. 160.
[4] Mi permetto rimandare in proposito alla mia Storia della mistica occidentale. Dall’ Iliade a Simone Weil, Mondadori, Milano 2009. 2
[5] Epèkeina tès ousìas, come scrive Platone, Rep. 509 b.
[6] Lc 18, 19.
[7] Cfr. il capitolo “La fede come <notte oscura>” del mio Dialettica della fede, nuova ed., Le Lettere, Firenze 2011.
[8] Cfr. il mio saggio Il paradosso della natura, in <Paradosso>, 3, 1992, pp. 43-64.
[9] Cfr. il sermone 67, Gott ist die Minne (Meister Eckhart, I sermoni, a cura di M. Vannini, ed. Paoline, Milano 2002, p. 468).
[10] Come nota finemente Rudolf Otto nel suo Mistica orientale, mistica occidentale. Interpretazione e confronto (a cura di M. Vannini, nuova ed., SE, Milano 2011, p. 93, nota 1), si deve parlare qui non di panteismo, ma piuttosto di teopantismo – che è il suo opposto.
[11] Cfr. ad es. il suo Commento al vangelo di Giovanni, a cura di M. Vannini, Città Nuova, Roma 1992, nn. 97, 199-200, 204-206, 210, 336, ecc. Non deve stupire perciò che anche una mistica culturalmente assai lontana da Eckhart, come la beata Angela da Foligno, senta Dio presente in tutto, “in qualsiasi cosa che è, sia diavolo sia angelo buono, sia in inferno che in paradiso, sia nell’adulterio e nell’omicidio che nelle opere virtuose, in qualsiasi cosa fornita di essere, tanto se è bella quanto se è turpe” (cfr. Angela da Foligno, Il libro dell’esperienza, a cura di G. Pozzi, Adelphi, Milano 1992, p. 205).
[12] Cfr. ad es. Salita del monte Carmelo, 2. 5. 3, o Cantico spirituale B, 1.8, ecc.
[13] Isa Upanishad, 1. Commentando questo passo, Simone Weil scrive: “È il distacco a rendere eterne tutte le cose” (cfr. S. Weil, Quaderni, IV, a cura di G. Gaeta, Adelphi, Milano 1993, p. 322), ovvero a dare a tutte le cose la dimensione dell’eterno, con la sua estatica beatitudine.
[14] Fil 4,7.
[15] Questa espressione, tipica della storia della mistica, dal medioevo fino al Pellegrino cherubico di Angelus Silesius (ricordiamo il celebre distico I, 289 sulla rosa “senza perché”), è singolarmente felice per indicare la beatitudo, in cui tutto viene colto, per così dire, sub specie aeternitatis ].
[16] Cosi Eckhart conclude le sue Istruzioni spirituali – un testo che ha molte affinità strutturali col Camino teresiano (cfr. Meister Eckhart, Dell’uomo nobile, a cura di M. Vannini, Adelphi, Milano 1999, p. 116).
[17] Cfr. Santa Teresa de Jesùs, Obras Completas, por el Padre Efrén de la Madre de Dios, B.A.C., Madrid 1954, Vol.II, p. 485.
[18] Ibid.
[19] Ibid., p. 486.
[20] Ibid., pp. 486 s.
[21] Cfr. Margherita Porete, Lo specchio delle anime semplici, a cura di R. Guarnieri, G. Fozzer, M. Vannini, ed. bilingue, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, capp. XXII, XXVIII, XXX.
[22] Obras Completas, cit., p. 481 s.
[23] Ibid., p. 483.
[24] Cfr. Meister Eckhart, Del distacco, in : Dell’uomo nobile, cit., p. 140.
[25] Obras Completas, cit, p. 478.
[26] Ibid., p. 479.
[27] Cfr. ad es. il sermone Iusti vivent in aeternum ( I sermoni, cit., p. 135 e nota 19) ; San Giovanni della Croce, Notte oscura 2.10, ecc. L’ immagine è consueta nella mistica medievale: cfr. in proposito J. Pépin, Stilla aquae modica multo infusa vino, Ferrum ignitum, Luce perfusus aër. L' origine de trois comparaisons familières à la théologie mystique médiévale, Miscellanea André Combes I, <Divinitas>, 11 (1967), pp. 331-375.
[28] Su questo cruciale tema, mi permetto rimandare al mio La morte dell'anima. Dalla mistica alla psicologia, Le Lettere, Firenze 2006.
[29] Obras completas, cit., p. 477.
[30] Ibid., p. 481.
[31] Ibid., p. 466.
[32] Ibid.
[33] Cfr. ad es. i sermoni Impletum est tempus Elizabeth, Vidi supra montem Syon, Ubi est qui natus est rex Judaeorum? ( I sermoni, cit., pp. 162, 177, 639).
[34] Obras completas, cit., pp. 466 ss.
[35] Il riferimento va qui al celebre sermone 52 di Eckhart, Beati pauperes spiritu ( I sermoni, cit., pp. 388-396).
[36] Obras completas, cit., p. 396.
[37] Ibid., p. 397.
[38] Cfr. ibid. “Industrie” traduce in italiano p. Egidio di Gesù (Santa Teresa di Gesù, Opere, Postulazione Generale O.C.D., Roma 1977, p. 831), seguendo una tradizione che risale almeno a Jean Gerson: cfr. la sua Teologia mistica, a cura di M. Vannini, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1992.
[39] Il tema, per il suo rilievo ascetico, soprattutto in ambito monastico, è trattato spesso dal maestro domenicano: si veda ad esempio il sermone Dum medium silentium ( I sermoni, cit.,pp. 626-636).
[40] Obras completas, cit., p. 397.
[41] Il pensiero va ancora al “nulla vuole” dell'uomo povero in ispirito del sermone 52 di Eckhart (vedi nota 35).
[42] Cfr. ad es. il sermone eckhartiano Praedica verbum ( I sermoni, cit., pp. 273-278).
[43] Obras completas, cit., p. 400.
[44] Cfr. Meister Eckhart, sermone Dum medium silentium ( I sermoni, cit., p. 629).
[45] Cfr. ancora il mio La morte dell’anima. Dalla mistica alla psicologia, cit.
[46] Obras completas, cit., p. 393.
[47] Cfr. in proposito il capitolo “Fede come distacco in Eckhart” del mio Dialettica della fede, cit.
[48] Cfr. l’inizio dello Specchio delle anime semplici di Margherita Porete: “Umiltà dovete avere/Che di Scienza è tesoriera/E dell’altre Virtù madre” ( op. cit., pp. 123 ss., con le note 1 e 2). Per Eckhart cfr. ad es. i sermoni 4, Omne datum optimum, e 14, Surge, illuminare Iherusalem ( I sermoni, cit., pp. 112-118 e 183) e il Commento al vangelo di Giovanni, cit., nn. 90, 95, 318, 356.
[49] Obras completas cit., pp. 72 s.
[50] Cfr. Dell’uomo nobile, cit., pp. 60 s.
[51] Obras completas, cit., pp. 104 s.
[52] Ibid.
[53] Ibid., p. 105.
[54] Ibid., p. 114.
[55] Cfr. Dell'uomo nobile, cit., pp. 63-68.
[56] Obras completas, cit, p. 116.
[57] Ibid., p. 207.
[58] Ibid., p. 210.
[59] Cfr. ad es. le Istruzioni spirituali, al cap. 6: “Del distacco e del possesso di Dio” ( Dell'uomo nobile, cit., pp. 63-68).
[60] Obras completas, cit., p. 218.
[61] Ibid., p. 231.
[62] Ibid., p. 233.
[63] Ibid., pp. 242 s.
[64] Ibid., p. 302.
[65] Cfr. ad es. il sermone eckhartiano Impletum est tempus Elizabeth ( I sermoni, cit., p. 162), o anche il Commento al vangelo di Giovanni, cit., nn. 521, ecc.
[66] Cfr. Meister Eckhart, La via del distacco, a cura di M. Vannini, Mondadori, Milano 1995, p. 125.
[67] Vedi note 26 e 27.
[68] Also ist eß alles eyn vorburg vnd eyn vorstat der ewikeit, vnd dar vmmb mag eß wol eyn paradiß heissen vnd seyn : Anonimo Francofortese, Teologia tedesca. Libretto della vita perfetta, a cura di M. Vannini, Bompiani, Milano 2009, cap. 50, p. 215.
[69] Cfr. Maria Maddalena de’ Pazzi, Le parole dell’estasi, a cura di G. Pozzi, Adelphi, Milano 1992, pp. 178 s.
[70] Cfr. il Commento al vangelo di Giovanni, cit., n. 390. Ricordiamo che Maria Maddalena conosceva le opere di Taulero nelle quali, fin dalle prime edizioni di Basilea, erano presenti molti sermoni di Eckhart, tra cui il celebre 52, Beati pauperes spiritu, in cui sono le espressioni “nulla volere, nulla avere, nulla sapere”, “prego Dio che mi liberi da Dio”, ecc.
[71] Cfr. la celebre risposta kantiana alla domanda Was ist Aufklärung ?
[72] Cfr. Agostino, De vera religione XXXIX, 72.
[73] Cfr. G.. Morel, Le sens de l' existence selon saint Jean de la Croix, Aubier, Paris 1960-1961, vol. I, p. 36.
[74] Cfr. il distico silesiano “Ci si trasforma in quel che si ama” ( Pellegrino cherubico, V, 200), sulla base del celebre passo di Agostino: “Come chi ama la terra sarà terra, così chi ama Dio sarà Dio” ( In Ep. Joh. II).
[75] “L’amore di questo o quel bene è amore di se stesso, ossia di chi ama, mentre l’amore del bene è amore di Dio”, scrive Eckhart nel Libro delle parabole della Genesi, n. 195 (ed. it. a cura di M. Vannini, Morcelliana, Brescia 2011) e “chi ama il bene lo possiede già in sé” (cfr. Commento al vangelo di Giovanni, cit., n. 387).
[76] “Praticare l’amore è grande fatica: non solo si deve/ amare, ma essere come Dio, l’amore stesso”. È il distico I, 71 del Pellegrino cherubico, intitolato : “Man muß das Wesen sein”.