Siete in analisi? Leggete Silesius
Repubblica, 23 agosto 1990 — pagina 28 sezione CULTURA
di Italo A. Chiusano
METTE un'uggia nera pensare alla Germania secentesca. Nel secolo anteriore aveva seminato discordia religiosa e passionalità apocalittica; ora ne raccoglieva i frutti. Dal 1618 al 1648, durante quella Guerra dei Trent'anni che senza dubbio fu quanto di più atroce abbia visitato l' Europa tra le invasioni barbariche e i due conflitti mondiali del Novecento, Germania e paesi circonvicini furono trasformati in un osceno mattatoio, in luogo d' incendi e di rapine, di stupri e di pestilenze, di fame e di criminalità a tutti i livelli. Chi voglia vederne l'immagine in qualche specchio letterario si rilegga Simplicissimus, l'immenso, vitalissimo affresco narrativo di Grimmelshausen, o Madre Coraggio, il dramma che Bertolt Brecht trasse genialmente da un già splendido romanzo dello stesso Grimmelshausen (La vagabonda Coraggio), o veda come quella dannata guerra andò a finire e quali turgori e languori patologici si lasciò alle spalle nel lungo racconto di Gunter Grass L'incontro di Teltge. Proprio in quest' ultima opera, pubblicata in Germania nel 1979 e in Italia (Einaudi) nel 1982, figura tra i personaggi, insieme con quel genio travolgente di Grimmelshausen, un personaggio apparentemente meno vitale, più intellettualistico e gracile (morì infatti di tisi), ma di statura poetica non inferiore, benché del tutto diversa: Johannes Scheffler, nato a Breslavia nel 1624, e che perciò ventiquattro anni aveva quando la grande mattanza del secolo sfociò nella pace di Vestfalia. Breslavia era ed è capitale della Slesia: allora e fino al 1945 facente parte della Germania, oggi incorporata alla Polonia. Una regione dove i polacchi erano numerosissimi, ma un capoluogo in cui dominava la cultura tedesca, tanto che nel Seicento fanno spicco ben due scuole poetiche denominate slesiane e che comprendono anche autori non nati in quelle terre. La Slesia e questo spiega anche la sua fioritura poetico-culturale è stata una delle regioni meno tartassate dalla guerra. Perciò Scheffler poté vivere con un certo agio, studiando medicina in varie città d' Europa (Strasburgo, Leida, Padova). E' proprio a Padova che, nel 1648, egli si laurea non solo in medicina ma anche in filosofia. A bene ascoltare le sue composizioni future, par di sentire la doppia tastiera del pensiero nutrito di approfondimenti filosofici e, nel contempo, di fredda osservazione medico-scientifica. Tornato in patria, fu medico di corte: la piccola corte di Oels. Non andò tuttavia d' accordo col predicatore locale e tornò a Breslavia, dove il 12 giugno 1653, nella chiesa di San Mattia, passò ufficialmente dalla Chiesa evangelica a quella cattolica. Assunse il nome di Angelus, cui legò col nuovo cognome Silesius il ricordo della sua patria slesiana. Benché insignito del titolo di medico di corte dall' imperatore Ferdinando III, si dedicò tutto alla nuova religione. Nel 1661 entrava nell' ordine francescano e riceveva la consacrazione sacerdotale; tra il 1664 e il 1666 fu consigliere dell' arcivescovo di Breslavia. Poi, fino alla morte (1677), visse la vita ritirata del contemplativo. Ma anche, naturalmente, del poeta. Quello che lo ha fatto emergere al di sopra della muraglia che divideva cattolici e protestanti, oltre che sopra quella che separa in tante cose il suo secolo dal nostro. Anzi, da questo punto di vista Silesius è oggi assai più vivo che nel Seicento, e per ragioni non polemiche o dottrinali, ma di altissima spiritualità che si fa poesia. Un' occasione particolare per affrontarlo oggi al suo meglio, in una traduzione molto attenta e precisa, con un lungo e dottissimo saggio introduttivo e leggendo anche il non trascurabile resoconto in prosa intitolato Cause e motivi della mia conversione, lo offre un volume delle Edizioni Paoline che distanzia di molto le parziali o approssimative pubblicazioni silesiane apparse nella nostra lingua fin dal 1927. (Il pellegrino cherubico, nuova versione con note di commento, a cura di Giovanna Fozzer e Marco Vannini, pagg. 452, lire 32.000). Silesius è autore anche di canti spirituali tra l' affettuoso e il sublime, dove note limpidissime emergono tra sonorità barocche, ora di forte sapore, ora manierate: è il libro intitolato Il santo gaudio dell' anima (1657). In quello stesso anno vede la luce anche un libro di Epigrammi che nel 1675, col titolo Il pellegrino cherubico verrà riproposto in edizione assai accresciuta. E' questo il libro che a Silesius avrebbe procurato la maggior fama, tanto da farne il poeta tedesco dell' età barocca che ha meglio resistito al tempo. Che cosa ci reca questo Messaggero della Slesia, come suona il nuovo nome di Scheffler? Un grandissimo numero di distici alessandrini, cioè di coppie di versi ciascuno dei quali composto di due settenari che alla fine si congiungono in rima baciata. E' lo stesso metro che risuona nelle tragedie di Corneille e di Racine; il medesimo, ahimè, che tintinna nella Partita a scacchi di Giacosa. In mano a Silesius, quei distici epigrammatici diventano quintessenza di spiritualità sia filosofica che mistica, distillato di contemplazione lucidissima, cifra del mondo sintetizzata in lampi di splendore. I pensieri del poeta, le sue illuminazioni dell' anima contemplante non si espandono in forma di lirismo più o meno immaginoso, come sembrava quasi prescrivere la sensibilità del Seicento o, per rifarsi a un esempio antico e sempre canonico, tanta parte del Vecchio Testamento (ad esempio, Il cantico dei cantici). Essi s' incidono e si scolpiscono, quasi cammei o fulgide gemme senza castone, in microstrutture di assoluta trasparenza intellettuale: di un intelletto che non è solo razionalità, ma insieme con esso e non disgiungibile da esso fiamma fredda di un afflato amoroso tenuto sotto fermo controllo. I misteri che il Silesio perscruta sono quanto mai impervi. Quasi sempre si tratta di una divorante insaziabile contemplazione del Divino e dei suoi rapporti con l' io individuale. Il colloquio tra l' anima dell' uomo e il suo immenso Antagonista è un groviglio di abbaglianti misteri, che però non accecano l' occhio aquilino del Poeta né gli fanno tremare la voce. Anzi, ciò che più colpisce in quest' uomo dell' età barocca, nutrito di umiltà e di sottomissione al Creatore, è che affronta la sorgente di ogni lume con dignità quasi paritetica, da tu a tu, o se vogliamo da Tu a Tu. Angelus ama Dio, lo desidera, lo rispecchia, o si sente un nulla al suo confronto. Ma al tempo stesso è pure consapevole (o almeno lo crede) che Dio ha totalmente bisogno di lui, di questo piccolo poetante essere terreno, tanto che senza la sua viva presenza si ridurrebbe esso medesimo al nulla. (Celeberrimo il distico: So che senza di me, Dio non può un istante vivere: / se io divento nulla, deve di necessità morire). Audacie, temerità, blasfemia? Sì, un pizzico e più che un pizzico, per un cattolico del Seicento. Ma se guardiamo al linguaggio dei mistici di ogni tempo e paese, da San Paolo e da sant' Agostino in giù, ma rifacendoci anche al libro di Giobbe, queste violenze tra l' amoroso e il santamente distruttivo si trovano a iosa, e oggi vengono interpretate per quello che sono: puro realismo di visione soprannaturale spinta alle vette. D' altra parte è pure eccelso, nel Silesio, il senso della pura gratuità e bellezza del creato (La rosa è senza perché: fiorisce perché fiorisce, / a se stessa non bada, che tu la guardi non chiede), o la circolarità quasi panteistica dell' essere (E' la Divinità una fonte: da essa tutto deriva / e ad essa ritorna; per questo è anche un mare), o della maturazione e trasfigurazione personale dell' uomo attraverso ciò che contempla (come appare nella splendida chiusa: Amico, basta ormai. Se vuoi leggere ancora, / va' , e diventa tu stesso la Scrittura e l' Essenza). Il libro è già corposo così: di dentro e anche di fuori. Eppure, a rischio di raddoppiarlo, era il caso di darci anche l' originale tedesco di fronte alla traduzione italiana. Chi conosce anche solo un poco la lingua di Goethe, può comunque procurarsene con pochi soldi il testo originale (ad esempio nei popolarissimi Goldmanns Gelbe Taschenbucher). E il raffronto sarà un incremento di piacere. Abbiamo in mano un prodotto illustre, tra i massimi del Barocco europeo: di cui il Silesio si porta dietro solo marginali tracce di agudeza eccessiva, di concettini e antitesi troppo ingegnosi. Il resto, cioè il di più, è cosa sua, frutto di un genio terribilmente audace ma anche dolcemente circospetto e a tratti crepuscolare, con tocchi di deliziosa infantilità. Rielaborando originalmente la lezione dei mistici tedeschi del Trecento o dei cantori a lo divino della Spagna o della sua stessa Germania contemporanea, Angelus Silesius è giunto, con un elegantissimo salto, fino al Romanticismo e poi direttamente a noi. Non solo ha influenzato i poeti (da Novalis a Hesse, dalla Droste Hulshoff a Rilke), ma ha destato entusiasmi eloquenti in pensatori di altissima e spesso antitetica levatura. Sia per Schopenhauer che per Hegel era un maestro di avanguardistici veri, Heidegger lo prese come ispiratore per le sue meditazioni sul distacco dell' anima, De Lubac lo ha ascoltato poco meno di un Agostino o Bernardo, Jung lo mette alla stessa altezza (ma con più limpida comunicativa) del sommo mastro Eckhart, Lacan sostiene che non si può raccomandarne abbastanza le opere a chiunque faccia analisi. Insomma, in una cultura che sia pluralistica e aperta, ecumenica e curiosamente interessata al tutto, Angelus Silesius non si può più rifiutare, come non si rifiuta Freud o Kafka. Sono le divertenti, quasi umoristiche sorprese della cultura: un poeta tedesco del Seicento che diventa pane e acqua di filosofi e psicoanalisti, oltre che di poeti, degli ultimi anni del Novecento.