Cuore nudo

Sezione: 

Roberto Boldrini, Cuore nudo, ed. Appunti di Viaggio, Roma 2014.

Presentazione

Cuore nudo non avrebbe nessun bisogno di presentazione, anche perché la sua Introduzione ne chiarisce perfettamente il contenuto e il senso. È però per me un vero piacere scrivere queste poche righe, testimonianza del mio apprezzamento profondo per questo libro.

Esso può essere letto innanzitutto come narrazione, documento, di una storia personale. L'autore non teme infatti di raccontare qui eventi intimi della sua vita, anche quelli negativi, spiacevoli, dolorosi, nella consapevolezza che ciò sia necessario per illuminare davvero nella sua concretezza il cammino faticosamente – dolorosamente, appunto: to pàthein màthos, diceva la sapienza greca – compiuto, per giungere a quella pace, a quella gioia, a quella luce, che il libro mostra non solo al termine, ma in ogni sua pagina, fin dall'inizio. Sotto questo primo profilo, la storia personale dell' autore non appare per niente singolare: chi ha come il sottoscritto la sua età, riconosce subito quello che è stato il cammino proprio di una generazione, passata da una educazione cattolica povera e inefficace, attraverso il marxismo e le ingenue speranze di una palingenesi rivoluzionaria, contestatrice di tutti i valori (o presunti tali) della società allora esistente, insieme alle seduzioni illusorie della “liberazione sessuale”, per cercare poi un ancoraggio nella psicologia – in una delle mille forme che questa area offriva ed offre tuttora – e nella psicoanalisi, e da lì cercare poi un terreno più solido nella meditazione offerta dalla saggezza dell' Oriente – il buddhismo, lo Zen -, fino a riscoprire che anche la tradizione cristiana, se rettamente intesa, ovvero fuori tanto dal devozionalismo quanto dal dogmatismo, celava quel tesoro nascosto che il Vangelo invita a cercare, ma che si può trovare solo avendo un cuore nudo. Questo cammino non è però affatto un cammino di eliminazione di errori, di rimozione di falsità: dal racconto invece emerge chiaramente come le varie tappe, le esperienze sia di vita sia di cultura, non siano mai respinte, ma al contrario accolte, comprese, superate nel vero senso hegeliano del termine, e perciò capaci di portare frutto.

Ma non si tratta qui solo di un racconto personale. “Ciò che c'è di personale nei miei scritti, è falso”, diceva giustamente Hegel, alludendo all'aspetto narcisistico, egoico, compiaciuto di sé, che “personale” spesso significa. No, qui il personale significa semplicemente il vero, il concreto, proprio in quanto esso tocca l'universale umano, dal momento che ciò che davvero ci costituisce nel profondo è qualcosa che a tutti è comune , e che perciò è la cosa più nobile, come rileva Meister Eckhart - una delle presenze affioranti nel libro, nonché l' autore più caro a chi scrive queste righe.

Il cammino percorso dall' autore non è, dunque, solo quello proprio di una generazione, in un certo tempo e in un certo luogo: con le dovute distinzioni, esso può essere riconosciuto come quello di ciascuno.

Il significato e il valore di Cuore nudo sta infatti nei suoi contenuti, nel rilievo delle cose che dice, prendendo in mano e sciogliendo i nodi più stretti, ovvero le questioni più dure ma anche più importanti da risolvere, tanto della vita quanto del pensiero - anzi, della vita perché del pensiero, e del pensiero perché della vita. Ci permettiamo qui solo di accennarle in breve, lasciando al lettore di meditarle nella loro densità e nella loro verità.

È indubbio che il nucleo intorno al quale si muove il complesso dei problemi sia l' ego. Tutta la storia del nostro essere alla ricerca di quella letizia che è non fine a se stessa, ma anche, spinozianamente, segno di perfezione, è la storia del faticoso, faticosissimo emergere da una ingenua percezione egoica – diciamo pure egoistica – dell'io a una più alta comprensione della realtà, nostra e del mondo insieme. “Conosci te stesso” : l'esortazione dell' Apollo Delfico è sempre valida, è la prima e fondamentale. L'ego (il “piccolo Roberto”, come qui spesso l'autore scrive, sulla falsariga del “piccolo Konrad o Heinrich” dei sermoni eckhartiani) è sempre, all'origine, affermativo di se stesso, o di ciò che considera se stesso, posto in opposizione o comunque in separazione rispetto al mondo, agli altri, in una visione essenzialmente dualistica del reale. Ma “corre di morte in morte chi vede solo il due nell'universo”, recita giustamente la Upanishad, e anche questo libro profondamente ne conviene, anzi, lo enuncia a chiare lettere.

Il dualismo è infatti la stessa cosa del pensiero del male, del pensare il male, del giudicare e condannare l'altro – il comunista, il nazista, l'eretico, il cattolico, ecc., a seconda dei casi - e il pensiero del male non è solo un pensiero sciocco, cogitatio vana, sine intellectu, dice Meister Eckhart, in quanto significa pensare che qualcosa non abbia una causa, ma è anche e soprattutto male, nel duplice, intimamente connesso senso del provare male, dolore, e dell'essere mali malvagi. Questo non significa che si faccia immediatamente il male, ma significa certamente che se ne getta la radice : basti pensare all' invidia che immediatamente nasce dal pensiero del male, e di “quanto mal essa sia matre”, vorremmo dire, parafrasando Dante. Ciascuno fa poi tutto il male di cui è capace, e perciò non è affatto migliore dei grandi “malvagi” standard, Hitler o Stalin o Pol Pot: non si illuda, sia onesto: riconosca che solo le circostanze gli hanno dato meno potere, ovvero è stato solo più debole, e perciò non sappiamo se deve o no ringraziarne il cielo. Molto opportunamente l' autore cita in proposito Etty Hillesum, che, di fronte all' evenienza che una SS potesse colpirla con cattiveria e violenza, si augurava di mantenere la lucidità intellettuale per poter continuare a pensare: povero ragazzo, cosa devono averti fatto per condurti ad agire così!

La fine di una egoità piccola, appropriativa, “malvagia” nel senso che abbiamo sopra detto, si ha quando si dischiude in noi un io più profondo, più vero, che non è in opposizione né a Dio né al mondo né agli altri. Questo dischiudersi progressivo, agli inizi molto faticoso anche esso, è l'opera di amore, e non meraviglia perciò che esso sia uno dei temi essenziali del libro, che lo percorre dall' inizio alla fine e su cui l' autore scrive delle pagine molto belle, alle quali non possiamo fare altro che rimandare. La forza della sessualità, del desiderio, è riconosciuta correttamente in tutta la sua pienezza : essa esprime all'ennesima potenza tutta la forza dell' attrazione e del mondo condizionato: il sesso rivela con forza straordinaria la natura di questo mondo, ovvero la natura condizionata, immersa nella danza di attrazioni e repulsioni , di tutto ciò che chiamiamo “creazione”. Il discorso dell' autore ha un andamento davvero platonico, nel senso che ricorda molto da vicino il Convito e la lezione di amore che lì Diotima impartisce a Socrate. La vita vissuta, a cominciare dalla adolescenziale brama sessuale, condita dall' ideologia, e poi gli amori di adulto, con la loro bellezza e i loro errori, conducono piano piano, anche attraverso il dolore, a comprendere che “non si può amare veramente se si mantiene qualche identificazione ed attaccamento”, fino alla scoperta che non siamo noi ad amare, ma che è l' amore che ama in noi. E qui le pagine del libro toccano quella esperienza che a volte si definisce “mistica”, nel senso agostiniano del termine: anche le Confessioni (un genere letterario in cui per un certo verso si potrebbe inserire Cuore nudo) testimoniano che è l'amore che si ama quando si ama davvero:'amore è ciò che ama, amore è l' oggetto amato e amore è l'atto di amare. L' autore lo dice in termini non molto diversi: quando c'è l'amore vero, non posso più dire “io faccio l'amore”, ma bisognerebbe dire “l'amore si fa”. Ma questa espressione impersonale non deve farci ritenere che siamo distanti dall' amore, dal piacere: al contrario, gli siamo più intimi proprio perché liberi dai condizionamenti egoici. Idem amor et spiritus, dicono appunto i mistici, e questa stessa esperienza è testimoniata nel libro, quando l'autore scrive che la sorgente dell'amore, in cui chi ama davvero si lascia sprofondare ed alimentare, è come l'acqua viva di cui parla Gesù nell'incontro con la samaritana al pozzo di Giacobbe.
Proprio l'esperienza dello spirito è il terzo punto del libro che ci pare essenziale – anzi, forse il primo in assoluto, solo che ci si arriva per ultimo, come in effetti è, dal momento che noi siamo corpo, psiche, spirito, e questo è l'ordine cronologico del loro rispettivo esserci ed emergere – ordine inverso a quello di valore. Chiarissima, illuminante, in proposito la pagina in cui l'autore descrive la sua ferita alla mano, quando la capacità di guardare con distacco al dolore stesso fa percepire con chiarezza quanto il corpo non sia tutto, e neppure l'essenziale. L'esperienza dello spirito, sintesi di amore e distacco, è significativa innanzitutto in quanto scoperta del nostro essere più vero, ma ha conseguenze molto rilevanti, chiarificanti, anche in rapporto alle due importanti sfere che intorno ad essa ruotano, ovvero quella della religione e quella della psicologia.

Della prima, la religione, si comprende che essa è credenza limitata e limitante, fonte essenziale di dualismo in quanto istituisce un Dio separato dal mondo e dall'uomo, mentre mostra la sua verità quando cessa di essere credenza, immaginazione, teologia, dogmatica, e si riscopre invece appunto come unitas spiritus, unione spirituale in cui scompare ogni opposizione, ogni dualismo: io-tu, Dio-mondo - e, insieme ad esso, scompare ogni forma di alienazione, a partire dal rimando al futuro e alla nostalgia del passato: il presente appare nella sua piena bellezza, come l'eterno, e fonte sempre di assoluta, francescana letizia.

Anche della seconda, la psicologia, appare chiaro il limite, tanto più evidente all'autore che ha lavorato per tanti anni come psicoterapeuta e quindi la conosce bene, dall'interno. La psicologia è sostanzialmente una scienza frammentata, che scinde lo psichico dal corporeo e dallo spirituale, per cui le sue risposte ai problemi sono sempre risposte di carattere dualistico e, in quanto tali, fallaci. Occorre scoprire che lo psicologico è la nostra parte condizionata, fatta di pensieri, emozioni, attaccamenti, dipendenze, credenze, ma che esso non esaurisce il nostro essere, dal momento che esso travalica la dinamica del nostro condizionamento e si situa invece nella libertà dello spirito, in quel “fondo dell'anima” in cui tace ogni opposizione.

D'altra parte, l'autore sottolinea anche l'errore di quei “maestri”, orientali come occidentali, che contrappongono il cammino spirituale allo psicologico, con un atteggiamento di ripudio e quasi di superbia ( una tentazione da cui talvolta non è stato immune neppure chi scrive queste righe ) cadendo così in una visione altrettanto dualistica dell'essere umano e della vita, la cui interezza viene così perduta.

E qui ci fermiamo. Non stiamo infatti facendo altro che tentare una sintesi dei contenuti di questo splendido libro, ma è bene che il lettore li scopra da solo, in tutta la loro ricchezza.

Marco Vannini