La religione vera è filosofia. La vera filosofia è mistica.

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Fabrizio Tassi, in <Redness>, gennaio 2024, pp. 44-49

MARCO VANNINI CI INVITA A RILEGGERE AGOSTINO: LA RICERCA SPIRITUALE È FONDATA SUL DISTACCO, UN'ASCESI (RAZIONALE) CHE CI PORTA OLTRE L'EGO

Il relativismo è penetrato così profondamente nella società e nella cultura occidentale, oltre che nella coscienza di ognuno di noi, che l'espressione "religione vera" suona ormai quasi offensiva, figlia di una concezione esclusivista, parziale, retrograda.

In realtà si tratta di un equivoco semantico, di un'errata concezione di ciò che è (che dovrebbe essere) religione, per non parlare di ciò che andrebbe inteso come "esperienza spirituale". Colpa delle religioni istituzionalizzate, storiche, che hanno imposto l'idolatria della rivelazione (ognuno ha la propria), il libro, il dogma, la professione di fede intesa come credenza. E in particolare, parlando di cristianesimo, colpa di chi ha rimosso il profondo legame che i primi pensatori cristiani avevano stabilito tra il messaggio di Cristo e la ricerca del Logos, di quell'Uno e quel Bene assoluto che la filosofia (vera, anche qui) ha sempre cercato, quando era sostanzialmente un'arte del vivere, fondata sul platonico "esercizio di morte".

Il pensiero di Marco Vannini si fa, anno dopo anno, sempre più affilato, diretto, sempre più esplicito nel bollare come superstizione ciò che intendiamo generalmente per religione, ma anche la generica spiritualità contemporanea fondata su tecniche di meditazione e saperi esoterici.

La via maestra per chi persegue una ricerca spirituale autentica è quella del distacco, l'evangelica "morte a sé stessi" (abnegare semetipsum), l'ascesi filosofica che porta a liberarsi dalla dittatura dell'ego. Fondamentali, in questo percorso, sono l'umiltà - che ci aiuta a fare il vuoto di ogni contenuto, desiderio, presunzione - e la devozione, intesa non come appropriazione del divino, ma come "pensiero puro", che porta a quella felicità duratura, non condizionata, che possiamo chiamare beatitudine.

Massimo esperto in Italia di Meister Eckhart, e di pensiero mistico in generale - inteso non come "misterico" o "esoterico", ma come pura razionalità, che si muove verso l'Assoluto - Vannini continua la sua opera di divulgazione, con scritti che riescono a unire profondità e semplicità.

Stavolta l'invito è quello di "rileggere Agostino", in un libro edito da Lindau intitolato Sulla religione vera, che è quella del Cristo-Logos, della luce neoplatonica, «che niente ha a che fare con fatti storici o, meglio, mitologia: ma che si basa solo sull'esperienza interiore, valida in ogni tempo e in ogni luogo». Tanto che non mancano riferimenti al pensiero indiano (soprattutto alla Bhagavad Gita) e al buddhismo, oltre che alla storia del pensiero filosofico, prima che diventasse astrazione accademica.

Ancora una volta Vannini torna a sottolineare una perdita drammatica, propria della nostra cultura (ache quella religiosa), la distinzione tra anima e spirito, con tutto ciò che ne consegue, soprattutto quando si identifica l'anima alla psiche, che in realtà è condizionata, strettamente legata al corpo e alle circostanze esteriori, a differenza dello spirito che è intelligenza libera e amore "senza perché" (intelligenza e amore sono due occhi dell'anima che fanno lo "sguardo semplice" di cui parlava Margherita Porete).

«Contro il culto feticistico della Scrittura», che rischia di diventare idolatria, Vannini cita Sebastian Franck, secondo cui la verità non sta nella parola, ma nella «presenza stessa di Dio nell'uomo» («la parola di Dio è vento e spirito, il cui soffio si sente nel fondo dell'anima distaccata e quieta»). Ma anche Henri Le Saux-Abhishiktananda, il monaco benedettino che univa pensiero cristiano e vedico indiano, e scriveva che «l'opera principale dell'uomo è entrare nell'interiorità, per incontrarvi sé stesso».

L'ego sum pronunciato da Gesù («Prima che Abramo fosse, io sono») è l'esperienza del proprio essere - che tutti possiamo fare - «come essere eterno, Dio in Dio. L'esperienza di chi non ha più un'egoità particolare, ma è completamente distaccato, dunque morto a sé stesso, e il cui spirito non è più il suo spirito (l'ātman individuale), bensì lo spirito di Dio (l'ātman universale), al di sopra di ogni individuaUtà e dualità». Bisognerebbe far leggere a tutti gli studenti e appassionati di filosofia, vecchi e nuovi, le pagine di Vannini dedicate al mondo classico, quando la filosofia era «l'ascesi della vita e insieme del pensiero», da Pitagora, che cercava la salvezza dell'anima, a Empedocle, da Talete e Eraclito, per non parlare di Socrate e Platone, che anticipò la concezione mistica cristiana della "morte dell'anima", parlando del filosofare come un «esercitarsi a morire, ossia distacco pratico da tutti i legami di questo mondo e, insieme, teorico da tutti i legami concettuali; i dogmatismi, che tengono avvinta l'anima e le impediscono di muoversi verso la "pianura della verità", verso la pura bellezza, che è il bene in sé».

Illuminanti le pagine che ci hanno lasciato gli stoici, una riflessione che si presente come «un 'arte del vivere, distaccati dal volgo e dalle sue chiacchiere, indifferenti a ciò che non dipende dal nostro libero volere. Con l'animo rivolto al Tutto, ogni istante acquista valore infinito e ogni giorno diventa così un giorno di gioia, un giorno di festa». Ecco dove sta la vera conversione, che non è il passaggio da un credo a un altro, ma un rivolgimento interiore, la scelta di vivere una vita autentica, davvero libera.

La filosofia antica ha conosciuto varie forme di "esercizi spirituali", volti alla «soppressione della volontà personale, dipendente dalle passioni; e il conseguente conformarsi alla volontà di Dio», il cosiddetto amor fati, fondato sull'esercizio puro della ragione, oltre che su una consapevolezza e un'etica rigorose. Sta qui la coincidenza tra filosofia (vera) e religione (vera) di cui parla Vannini, riferendosi ad Agostino e alla letteratura mistica. «Questo mondo come un paradiso - sol che lo si voglia riconoscere, annullando la volontà propria - diranno i mistici cristiani, nel loro linguaggio, per esprimere il sentimento di gioia indicibile, di estasi cosmica, che il filosofo antico raggiungeva nella via del distacco».

La via del distacco per eccellenza era quella esplicitata dal neoplatonismo, soprattutto nel pensiero di Plotino, col suo áphele pánta, distaccati da tutto, unico modo per raggiungere l'Uno, per "diventare Dio" (non si può "conoscere Dio", ma "essere la cosa stessa"), non come slancio irrazionale, ma come atto sovrarazionale, che si estrinseca nell'ékstasis.

Attenzione, però, l'uomo non può raggiungere questo traguardo da solo, serve anche ciò che i cristiani chiameranno Grazia: «l'anima ama il bene perché, fin dai primordi, Egli l'ha spinto ad amarlo», con «dolcezza, benevolenza e delicatezza».

Vannini sottolinea la distinzione tra religione mitica e mistica. Da una parte c'è un racconto mitologico che non può sopravvivere all'indagine della critica storica: le costruzioni narrative bibliche, che sono storie fondate sull'utilitarismo e l'appropriazione, il cui risultato inevitabile è la violenza, l'intolleranza religiosa. Dall'altra c'è il pensiero del primo cristianesimo (di uno dei cristianesimi possibili) che si collegava alla filosofia greca - l'immortalità dell'anima arriva da lì, - il vangelo di Giovanni che presenta la divinità dell'uomo Gesù e l'idea di Dio come spirito, l'atteggiamento del monaco che esercita l'attenzione e il "ricordo di Dio".

La conversione di Agostino nasce dalla lettura dei testi neoplatonici, che gli consentivano di andare oltre un cristianesimo ingenuo, fatto di credenze che non resistevano all'indagine della ragione, scoprendo l'importanza dell'uomo interiore.

Fu così che andò oltre la religione intesa come superstizione: «Dio è la verità - Deus veritas - e la verità è la luce che risplende in fondo all'anima: perciò la salvezza è effettuata da quella conversione che conduce allo spirito, a essere Logos nel Logos». Il cristianesimo, rispetto al neoplatonismo, offriva in più quell'elemento di devozione che consentiva di unire l'elemento interiore, autenticamente spirituale, lo slancio verso l'Assoluto, con quello mitico, fondato sulla rappresentazione, che solo apparentemente e superficialmente si fonda su un dualismo (tra creatura e creatore).

La mistica non parla di unione - il che presupporrebbe un dualismo insuperabile - ma di Uno, da Plotino ad Eckhart, fino a Giovanni della Croce, di cui Vannini sottolinea l'eredità neoplatonica e l'insistenza sul tema del distacco. Un distacco che parte dai sensi e dalle facoltà dell'anima, attraversando le celeberrime "notti", sprofondando nell'oscurità più totale, facendo il vuoto in sé stessi.

Solo laggiù si può incontrare Dio, o meglio lo si può diventare, «giacché Dio è spirito e parla solo allo spirito, senza immagini, senza rappresentazioni, senza teologie, senza mediazione alcuna». Serve la più assoluta semplicità. Dopo di che si entra nell'ineffabile. Per arrivarci, servono intelligenza e amore, che in realtà sono la stessa cosa: «Il pensiero è distacco in quanto scioglie ogni particolare, vedendone la determinatezza; l'amore è distacco in quanto riconosce la natura appropriativa, egoistica e meschina di ogni legame». Ci si perde nella notte dell'anima per ritrovarsi nella luce eterna, in cui «tutto è natura e tutto è grazia; tutto è dell'uomo e tutto è di Dio: dipende solo da cosa vogliamo sottolineare».

Veniamo presi da una vertigine di fronte a queste altezze, questa profondità, alla possibilità di guardare le cose con gli occhi di Dio, senza bisogno di chissà quale "rivelazione", «perché è il quotidiano, il qui e l'ora, queste cose presenti di fronte a noi, a costituire il divino, che si· mostra al nostro sguardo, ovvero al nostro amore, e ciò avviene del tutto senza sforzo, appena ti distacchi da te stesso, ovvero dalla volontà propria». Arrivati qui, poco importa come chiami il divino, quel distacco, quella beatitudine, qui e ora, non in qualche promessa vita futura. Un approdo che va al di là delle differenze religiose, culturali, teologiche, terminologiche.

Leggendo Vannini - e i suoi innumerevoli riferimenti - ci si trova di fronte a una concezione del cammino spirituale non dogmatica, moderna e antichissima, universale e molto concreta, che guarda alla realizzazione più grande, l'unica vera, autentica, liberatoria, che ci porta oltre l'ego, verso lo spirito, il Sé.