Fede e mistica: intervista Marco Vannini
SettimanaNews, 6 ottobre 2024
a cura di Giordano Cavallari
Intervista a Marco Vannini in occasione della uscita del suo Conosci te stesso e conoscerai te stesso e Dio (Le Lettere 2024), in cui l’autore ritorna sulla tradizione mistica cristiana, quale esigenza di riscoperta per la contemporaneità.
Caro Marco, come definiresti questo tuo libro: di antropologia o di teologia?
Come recita il titolo, si parte dall’uomo. Quando non si parte da sé stessi, dice Eckhart, si commette menzogna, un atto di peccato mortale. Il titolo del libro è, in realtà, una citazione di Gregorio di Nissa, un Padre della Chiesa che recupera il precetto dell’Apollo delfico e lo integra cristianamente. Che la conoscenza di Dio si fondi sulla conoscenza di sé stessi è pensiero comune alla mistica, da Eckhart a san Giovanni della Croce, tanto per fare due nomi.
Si parla dell’uomo, dunque, ovvero di qualcosa di cui si può parlare con relativa sicurezza. Scoprendo la realtà profonda dell’uomo come spirito, ci si apre alla conoscenza di Dio, che è spirito, come dice Gesù alla samaritana (Gv 4, 24).
È possibile “rovesciare” il titolo in “conosci Dio e conoscerai Dio e te stesso”? Come conoscere Dio?
Certamente è possibile rovesciare il titolo. Come per vedere il nostro viso è necessario guardarci in uno specchio, così per vedere la nostra anima è necessario guardarci in quello specchio perfetto che è Dio – dice Platone -, ovvero non guardare soltanto all’esteriorità delle passioni, che costituiscono un “animale dalle molte forme” (sempre Platone!), ma all’interiorità, a ciò che è propriamente umano.
La verità – anzi, la Verità che è Dio – abita nell’uomo interiore (in interiore homine habitat veritas, dice sant’Agostino), ed è lì che si deve trovare Dio, non come immagine esteriore, ma come luce, pura luce: non la luce di questo sole, ma la “luce vera, che illumina ogni uomo”: così ancora Agostino, nel suo De vera religione, citando il prologo del vangelo di Giovanni. Come vedi, nel mio libro non c’è nulla di nuovo o di particolarmente audace: se sembra tale, è perché spesso abbiamo dimenticato i testi essenziali della religione cristiana.
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La fede che cos’è?
La fede è il movimento di tutta l’anima, intelligenza e amore, verso la Verità, verso l’Assoluto, Dio. Come insegna san Giovanni della Croce, in quanto tale essa non produce credenze, sostitutive o integrative di quelle della scienza, ma toglie via, distacca da ogni pretesa conoscenza e rende l’anima pura e libera all’accoglimento della luce divina.
C’è una via mistica alla fede?
Non parlerei di “via mistica alla fede”, che è un’espressione che può generare equivoci. Nel suo senso etimologico e originario, “mistico” è un aggettivo che indica la riservatezza, il silenzio. Silenzio non solo e non tanto esteriore, come se non si volesse dire quello che sappiamo, quanto, soprattutto, silenzio interiore, ovvero distacco dai propri contenuti.
Predicando sul passo del libro della Sapienza 18, 14: Dum medium silentium, Eckhart spiega che il silenzio in cui, dall’alto, discende la Parola, è «nella parte più pura che l’anima può offrire, nella parte più nobile, nel fondo, nell’essenza dell’anima, ovvero nella sua parte più nascosta. Là non è mai giunta né creatura né immagine e là l’anima non conosce l’operare o il sapere, non sa niente di immagine alcuna, né di sé stessa né di qualsivoglia creatura». Dunque, se prendiamo nel giusto senso sia mistica che fede, si potrebbe dire che esse, in quanto distacco, indicano la medesima cosa.
“Distacco”, “estinzione del desiderio”, “rinuncia al volere”, “nulla”: sono dunque i termini della vita mistica. Cosa resta nella vita attiva?
Il distacco non significa affatto inazione, rinuncia alla vita attiva. Significa essere distaccati nell’azione, ovvero privi di pretese di merito. In questo senso il distacco è stretto parente della umiltà, regina delle virtù e chiave del soprannaturale, come unanimemente la definiscono i maestri spirituali.
Non posso qui dilungarmi, ma rimando al sermone di Eckhart su Marta e Maria, ove, rovesciando l’interpretazione tradizionale prevalente, si spiega come la vita attiva di Marta, nell’ episodio evangelico narrato da Luca 10, 38-42, sia più perfetta di quella contemplativa di Maria, perché Marta, con la sua attività di servizio (il vangelo usa il verbo ministrare), testimonia di aver già percorso la via della contemplazione. Del resto, che la mistica significhi rinuncia alla attività è cosa smentita abbondantemente dalla storia: la vita stessa dei grandi mistici fu piena di attività.
I mistici non rischiano di essere elitari e gnostici?
Anche qui bisogna esser chiari sui termini. “Gnosi” significa conoscenza, quindi è di per sé una bella parola. Non a caso è usata dagli autori cristiani, a cominciare dai vangeli: “Questa è la vita eterna, che conoscano te…” dice Giovanni in 17, 3. Il verbo usato, sia in latino sia nell’originale greco, è quello stesso che ha alla radice la parola gnosi. I Padri della Chiesa parlavano perciò di “vera gnosi”, quella cristiana, opposta alle false gnosi.
Si “cade nella gnosi”, come tu dici, quando si prendono per buone le fantasie su Dio, sul mondo, ecc., come quelle che in effetti furono sviluppate da molti dei cosiddetti gnostici dell’epoca immediatamente cristiana (ma in realtà già precedenti al cristianesimo). Nel medesimo senso, oggi si potrebbero definire gnostici alcuni aspetti della cosiddetta new-age, ma non è giusto assimilarvi la mistica, perché in essa la conoscenza che salva non è disgiunta dall’amore, ovvero da quelle virtù che i cristiani hanno chiamato “teologali”, ma che, più correttamente, nell’originale greco si chiamavano “divine”. Faccio notare, di passaggio, che la parola “virtù”, sia al singolare, sia al plurale, non è oggi molto usata, neppure nella predicazione.
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Cosa differenzia la mistica cristiana dalla mistica di altre grandi tradizioni religiose?
Simone Weil dice che i mistici di tutte le religioni si somigliano fin quasi all’identità, e questo mi sembra corretto, però è importante tener presente quel “quasi”. In sintesi, si può dire che soltanto nel cristianesimo c’è la presenza di Cristo, vero Dio e vero uomo, e questo fa del cristianesimo stesso un unicum, che solo superficialmente si può accostare alle altre pur grandi religioni. Di conseguenza, si può dire che, se si assume per mistica l’esperienza dell’unione tra umano e divino, è proprio nel cristianesimo che la mistica giunge per così dire a compimento.
La Trinità, Dio Padre, Figlio e Spirito: quale intelligenza di queste parole?
Sant’Agostino scrive di aver iniziato il suo libro sulla Trinità (il De Trinitate) da giovane ed averlo concluso da vecchio, pur senza arrivare a conclusioni definitive e pienamente soddisfacenti, di fronte a un così grande mistero. Figurati se pretendo io di spiegarlo! Posso solo dire che la chiave del nesso trinitario è il concetto di Spirito, movimento che dal Padre, l’Eterno, eternamente altro, spira verso il Figlio, l’Eterno calato nella storia, nella finitezza dell’umano e, reciprocamente, spira dal Figlio verso il Padre.
Questo si comprende non astrattamente, nell’immaginazione che rimanda al cielo, ma concretamente, quando ci è chiaro cosa sia lo spirito nell’uomo: ancora una volta bisogna partire dalla conoscenza di noi stessi per cercare di capire qualcosa di Dio. Mi permetto di rilevare che, in fondo, questa è la strada che prende anche Agostino nel suo poderoso De Trinitate.
Chi è ateo e chi è credente oggi?
Rispondo citando direttamente l’ultima pagina del libro oggetto di questa conversazione: «ateo non è chi è privo di credenza religiosa, ma chi non è capace del distacco più elevato; e, specularmente, religioso non è il “credente”, ma chi, distaccato anche dalla credenza, eleva l’anima a Dio, senza alcuna pretesa conoscenza, senza alcuna richiesta». Non posso fare altro che rimandare al libro per giustificare questa affermazione!
Quando presenti i tuoi libri di mistica, quali sono le reazioni? Ad esempio, al Festival di filosofia di Modena.
Il tema del festival di Filosofia di quest’anno era la Psiche. Io ho parlato del distacco come essenza del mistico, e via alla conoscenza dell’anima. Non ho presentato specificamente un libro, anche se in effetti ho attinto molto dal mio ultimo, oggetto di questa conversazione. Se mi è consentito dirlo, senza alcuna presunzione, il pubblico ha avuto una reazione molto positiva di consenso, come del resto è naturale: il mistico non è la cosa più astratta, ma la più concreta e la la più vera.