La terza via verso Dio
di Gianni Vattimo, in: <La Stampa>, 7 aprile 2008.
Tra "mito" biblico e ragione dei Lumi una riproposta della tradizione mistica
Siamo usciti da poco dal clima delle solenni liturgie della Settimana pasquale, che media e televisione in Italia non mancano di ricordarci con un puntiglio senz'altro eccessivo. Al centro di tutto, la Via Crucis con le «stazioni» che celebrano le tappe del cammino di Gesù al Calvario. Come nelle laudi medievali, la commozione dei fedeli suscitata attraverso una meditazione sulla lettera del testo evangelico, l'evocazione del dolore prodotto dalla corona di spine, il pianto di Maria accanto alla Croce «dum pendebat Filius». Ma dall'altro lato, nell'animo del credente, la difficoltà sempre più marcata di credere alla lettera della narrazione biblica, fino alle pagine che parlano della Resurrezione. Oggi sempre più spesso anche i filosofi cattolici - penso per tutti a Luigi Pareyson - parlano di «mito» biblico. La Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, è mito anzitutto perché è racconto (il senso proprio della parola greca mythos ), ma racconto che non si lascia tradurre in enunciati razionali come quelli delle argomentazioni filosofiche che suppongono sempre una «oggettivabilità» del divino.
Se è vero, come pare, che il disagio nei confronti della lettera del racconto biblico si è accentuato soprattutto nei secoli della modernità e con l'Illuminismo (a partire dal Tractatus theologico-politicus di Spinoza, 1670; una vicenda ricostruita in modo eccellente negli studi di Valerio Verra), non possiamo non pensare che esso abbia radice nell'ampliamento degli orizzonti del mondo. Quando l'Europa cristiana comincia a conoscere altre culture con altre mitologie fondanti, e soprattutto quando (storia dell'ultimo secolo) deve prendere atto che tali culture sono sistemi complessi di simboli e regole che non si lasciano ridurre a fantasie «primitive», sente il bisogno di una rilettura meno «scandalosa» della propria mitologia. L'Illuminismo di ispirazione spinoziana tende semplicemente a eliminare il mito biblico, ne accetta solo quello che la ragione guidata dalla sua logica di rigore matematico non trova ripugnante. I credenti che tuttavia parlano anch'essi di mito sostengono che delle verità ultime (Dio, le origini del mondo, il destino dell'anima) non c'è discorso razionale possibile, con principi e conseguenze logiche, ci può essere solo racconto irriducibile a strutture scientificamente dimostrabili. Del resto, un Dio che fosse oggetto della nostra conoscenza non ci parrebbe assolutamente Dio.
Da questa constatazione partono diversi discorsi ugualmente religiosi ma profondamente lontani. La difesa del mito può ispirare una decisa accettazione del carattere «storico» della rivelazione biblica (è accaduta la creazione, è accaduta la redenzione, è accaduta la rivelazione che è giunta fino a noi, garantita da una speciale assistenza divina la quale si è giovata della tradizione prima ebraica e poi cristiana). Così, se ci si dice che i Vangeli sono stati composti molti anni dopo la morte di Gesù da autori che fissano semplicemente per iscritto i racconti vivi nella comunità dei credenti, non cessiamo per questo di pensare che ci dicano il vero. Tutto qui si fonda sul fatto che senza tradizione della Chiesa non potremmo neanche aver conosciuto Gesù. Qualunque critica agli eccessi del letteralismo dogmatico non può che fondarsi sulla Scrittura stessa, letta dalla Chiesa come comunità dei credenti in Cristo. Questa è la via di molta teologia contemporanea, attenta al mutare storico della sensibilità collettiva, fino a cercare i tratti di una nuova religiosità cristiana anche nella transizione al post-moderno, come fa il teologo romano Carmelo Dotolo.
Ma una religiosità cristiana può anche essere quella che prende radicalmente sul serio l'inaccessibilità di Dio al pensiero logico e razionale, e sceglie decisamente la via della mistica. La più lucida e convincente difesa di questa via è quella che si trova nei recenti scritti di Marco Vannini, il quale propone una «religione della ragione» che possiamo chiamare cristiana solo, o quasi, perché si muove tutta, oltre che nell'ambito della tradizione del pensiero classico greco e latino, sulle tracce dei grandi mistici cristiani come Meister Eckhart e San Giovanni della Croce. In Vannini il racconto biblico, come qualunque altro racconto di salvezza operata da Dio, è solo superstizione, e può al massimo fungere da propedeutica a una esperienza religiosa tutta puramente razionale e proprio per questo rigorosamente mistica.
Il modello di Vannini è la grande filosofia di tradizione platonica, nella quale l'uomo, sul piano della conoscenza come su quello della pratica di vita, si allontana progressivamente da tutto ciò che è contingente e mondano, fino a realizzare l'esperienza dell'unione con l'Uno-Tutto che è Dio stesso. In questo processo l'uomo fa esperienza della propria identità con l'Uno, e proprio così, scrive Vannini, «ri-conosce la divinità di Gesù», ma solo perché «l'umanità di Dio, ovvero la divinità dell'uomo, è un'idea greca, niente affatto biblica».
Si intende che mettendo così radicalmente da parte il mito-racconto come pura superstizione, la religiosità si libera di gran parte dei problemi che anche oggi fanno la sostanza dei dibattiti fra credenti e non credenti, a cominciare da quelli relativi al rapporto di Dio con l'universo e le sue leggi (dalla bioetica alla questione dell'evoluzionismo). La liquidazione di questi problemi di scontro tra differenti superstizioni si paga però, nella via mistica, con una quasi assoluta de-storicizzazione dell'esperienza religiosa. Anche a livello personale, che cos'è una religiosità così puramente mistica, quella che San Giovanni della Croce identifica con la notte oscura? (Uno «storicista» penserebbe che una religione non superstiziosa si riduca all'amore del prossimo, ma non è il caso di Vannini). Heidegger, che pure con la mistica aveva una certa dimestichezza, obiettava al Dio dei filosofi che dinanzi a lui non si può ballare né cantare canzoni, o dire preghiere. Davvero dovremmo, o siamo maturi per, rinunciare a Stabat Mater e commozioni «superstiziose» davanti alla grotta di Betlemme?