La "riforma" della religione, una missione da mistici

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Le sessanta "Tesi" di Vannini

di Maria Cristina Carratù, La Repubblica 19 gennaio 2007, FIRENZE ATTUALITÀ

IN EPOCHE inclini agli estremismi, parlare di religione contro laicità, fede contro ragione, offre, nella sua semplificazione, un campo concettuale molto facile da praticare. Le cose, però, sono più complesse, far fuori un intero sistema di senso, deragliato quanto si vuole, ma tuttora capace di fornire preziose indicazioni al genere umano, in nome di una «idolatria» della ragione, risulta, alla fine, un vicolo cieco. La via d'uscita, in realtà, è un'altra, sosterrà oggi Marco Vannini a Leggere per non dimenticare (ore 17,30, Biblioteca di via S. Egidio, con Massimo Cacciari e Sergio Givone) presentando il suo Tesi per una riforma religiosa: appunto, una «riforma» della religione. Della portata di quella protestante, e tuttavia di segno opposto. Riconoscendo, dice Vannini, che la verità della religione esiste, ed è addirittura praticabile, purché, liberandosi (laddove Lutero ricentrò tutto su di essi) dell'ancoraggio ai testi sacri, ci si affidi alla mistica: ovvero, a quella esperienza fondamentale dell'essere per cui, rientrando nel fondo della propria anima, ci si avverte tutt'uno col «fondo di Dio». Dio «si soffre», dicevano i grandi mistici speculativi del Medioevo, da Eckart a Silesius, da Taulero a Porete, di cui Vannini è il massimo studioso italiano. E conoscenza di Dio può darsi solo nel «distacco totale» da se stessi, nella «fine della volontà».

Articolato in 60 «tesi», il testo procede con la lucida forza di chi punta alla demolizione di un orizzonte. Tutto ciò che «circoscrivendo un particolare, ha attribuito ad esso lo statuto dell'assoluto», è in realtà, sostiene Vannini, negazione della verità, idolatria: così le chiese, e le teologie, che delle Scritture hanno fatto fonte di senso mentre erano solo miti, rinunciando alle ragioni della verità, pur offerte dalla filosofia (da Platone all'illuminismo, all'idealismo), «e alla fine risultando incomprensibili all'uomo di oggi». Lo scandalo di Gesù, inaccettabile per la mentalità ebraica, è stato in fondo lo scandalo stesso della mistica: Aver sperimentato l’unità profonda dell'uomo con Dio e di Dio con l'uomo». E tuttavia, secondo l'autore delle Tesi , il cristianesimo nasce realmente solo quando, tre secoli dopo, i padri (greci) della Chiesa «cominciano a leggere l'esperienza di Cristo alla luce della categorie del pensiero greco»: ovvero del logos, della ragione. E ci vedono quello che c'era: un evento storico (Gesù) iscritto di quel «movimento profondo della vita dello spirito" già colto dalla filosofia greca. Il cristianesimo come religione del logos, dunque, come dice il vangelo di Giovanni, e come lo stesso papa Ratzinger ha ricordato proprio nello «scandaloso» discorso di Ratisbona, «citando non a caso Platone». Il problema, avverte Vannini, è che, strada facendo, all'esperienza dell'assoluto la Chiesa ha «sostituito una dogmatica ad excludendum» che di fatto «sta anche escludendo gli uomini contemporanei da qualunque esperienza religiosa autentica, con l’effetto di un pericoloso nichilismo». Ecco perché, dunque, «riforma» religiosa: senza buttare a mare la religione, occorre, infatti, secondo lo studioso, riscoprire il cristianesimo come «esperienza dell'universale e insieme religione razionale». E con ciò «capace di parlare non solo all'oggi, ma anche al futuro».

30 righe di Anna Benedetti:

Così hanno spento il senso della verità.

Dal nuovo libro di Marco Vannini che propone una riscoperta del pensare e dell'essere che faccia del Cristianesimo la religione della libertà e della ragione, ho scelto le seguenti righe.

Pagg. 167-168; 171-172

Il mondo cristiano o ex cristiano, e prima ancora quello ebraico colto, vive in questa terribile dilacerazione, che è causa di infinita debolezza: la parziale, finta accettazione del materiale biblico, indicato come "parola di Dio", ma, in fondo, niente affatto pensato come veramente tale. Infatti i nostri "biblisti", quando non siano banalmente fondamentalisti, trattano le pagine della Scrittura più o meno come gli eruditi alessandrini trattavano i poemi omerici: qualcosa da cui trarre anche belle immagini e riflessioni edificanti, fermo restando che quelle pagine sono largamente fantastiche, non vere. Ciò è terribile, perché, se quelle pagine vengono dichiarate fondamentali, si ha di conseguenza che il fondamento è fittizio, falso, puramente retorico. E questo spirito di falsità, che verrebbe voglia di chiamare davvero diabolico, dal fondamento passa in tutta la vita, psicologica, sociale, civile, politica, tutto corrompendo, perché legittimando intimamente ogni falsità [...]

Di qui quel vergognoso gioco delle parti talvolta giocato, soprattutto dalle cosiddette tre "religioni monoteistiche", di concedere all'altro verità, autorevolezza, credibilità, in modo da guadagnarne almeno un poco per se stessi. Si rispettano e si sentono equivalenti perché stanno a livello di rappresentazione, dove l'una vale l'altra, cambiata cultura, ma in questo non v'è verità.

Verità infatti è guardare onestamente i miti, le rappresentazioni, comprendendone origine e significati e, insieme superandoli, andando così verso l’uomo interiore, verso la regione dell'eterno, dello spirito. Ora non c'è più disputa, perché si ha ben chiaro che non si tratta di verità, ma solo di finzioni. Hanno spento il senso della verità, cioè di Dio: perché la realtà, che non hanno il coraggio di ammettere, è che non ci credono più. E così si oscilla tra la superstizione, figlia dell'ignoranza, e lo scetticismo delle persone colte, sostanzialmente atee.