La proposta mistico-ellenica di Marco Vannini

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Il Manifesto - Alias, 23 febbraio 2008

di Sabina Moser

Il nuovo libro di Marco Vannini, La religione della ragione (prefazione di Roberta De Monticelli, Bruno Mondadori, pp. 154, € 12,50), si inserisce a pieno titolo nella discussione, particolarmente vigorosa in questi anni, sul rapporto tra fede e ragione, ed è un tentativo, fuori dal coro, di superare gli accenti oppositivi che oggi sembrano prevalere (o fede o ragione, o fede o scienza). Diretta conseguenza degli studi sulla mistica e della costante indagine sul rapporto tra fede e ragione che da sempre caratterizzano l'autore (ricordiamo la recentissima riedizione del suo Mistica e filosofia, con la lucida presentazione di Massimo Cacciari), il libro guarda negli occhi la profonda crisi che sta vivendo il cristianesimo — una crisi che parte dall'illuminismo, ossia da quando la moderna scienza storica e filologica hanno dimostrato l'infondatezza storica della Bibbia e smontato le pretese soprannaturalistiche dei «libri sacri» e delle presunte «rivelazioni». Ciò ha reso impossibile all'uomo contemporaneo la religione, almeno in quanto essa è una mitologia, ostile alla ragione, legata all'interesse particolare di una persona o di un gruppo e finalizzata al suo fine di autoaffermazione, di permanenza. Infatti sotto questo profilo la fede è intesa come una credenza e, in quanto tale, non v'è dubbio che venga a conflitto con la ragione e la scienza, riuscendo soccombente. Ma la fede non è solo e non è tanto credenza, quanto e soprattutto distacco — ovvero il contrario di una credenza — giacché il riferimento all'Assoluto che la rende appunto fede (e non superstizione) spazza via ogni relativo, dunque ogni contenuto dogmatico determinato, «laico» o «religioso» che sia, ma soprattutto impedisce che si chiami sacro quello che è frutto di mano umana, perché questa è la vera bestemmia, la vera idolatria: tale l'insegnamento essenziale della mistica di tutti i tempi. E qui la riflessione di Vannini ha buon gioco nel chiamare in causa gli splendidi studi di Pierre Hadot, che mostrano come la filosofia, in tutto il mondo classico, fosse sostanzialmente concorde, nonostante la diversità delle «scuole»: filosofia era infatti una vita fondata sulla ragione, ossia sul distacco dalle passioni, dall'interesse personale, dal legame all'ego, e così la conquista dell'universale del punto di vista di Dio, per così dire — con la conseguenza di una grande, infinita serenità. Ora, non v'è dubbio che anche l'insegnamento fondamentale del Vangelo sia proprio il distacco, la rinuncia a se stessi, e a tutto quanto serve l'affermatività personale («chi vuole essere mio discepolo deve rinunciare a se stesso», «odiare la propria anima», dice il Cristo), fino a scoprire nel profondo di noi stessi la luce eterna, la luce del Logos, che è Dio. Perciò nel cristianesimo hanno sempre convissuto due anime, dato che esso è frutto dell'incontro di due diverse componenti: quella mitologico-biblica e quella filosofico-greca. Contrariamente al biblicismo che imperversa ai nostri giorni, l'autore ha buon gioco nel mostrare che il nucleo essenziale del cristianesimo, quale si è costituito nei primi secoli della sua storia, non è biblico, ma ellenico, neoplatonico-stoico. Infatti, come insegna ancora Hadot, il cristianesimo dei Padri era inteso proprio come «filosofia», ossia appunto come distacco e conquista dell'universale, e tale nucleo essenziale si è mantenuto, nei secoli, proprio attraverso la mistica, che ha cosi proseguito nella via della filosofia classica. Particolarmente illuminanti a questo proposito sono le pagine che il libro dedica al confronto tra l'ultimo grande interprete e sintetizzatore del pensiero classico, cioè Plotino, e quello che è considerato il massimo dottore mistico del cristianesimo, ossia san Giovanni della Croce: ne risulta un'identità pressoché totale. Del resto, non affermava anche Hegel che il mistico e lo speculativo — ossia il razionale pienamente dispiegato — sono lo stesso? Ora, non v'è dubbio che la componente mitologico-superstiziosa della religione abbia avuto finora la prevalenza su quella mistica, che è stata quasi sempre condannata, o comunque emarginata, giacché il mistico, in quanto razionale-universale, confligge profondamente col particolare, col fideistico e confessionale. Ma si deve convenire anche sul fatto che, in parallelo, pure la filosofia è stata squalificata, ridotta a faccenda meramente accademica, senza più quel riferimento all'Assoluto che la caratterizzava proprio in quanto filosofia, come fu nella sua splendida stagione classica.

«Non di credenti ha bisogno Iddio, ma di pensanti» scrive perciò la De Monticelli nella Prefazione al libro, sottolineandone acutamente lo spirito, perché la religione, privata della sua essenza razionale, rischia di morire, oppure di banalizzarsi in derive sentimentalistiche o in un complesso di insegnamenti morali e di contenuti dogmatici, come sta avvenendo ai nostri giorni. Riscoprire perciò la «fonte greca», come diceva Simone Weil, del cristianesimo, ossia la sua anima mistico-razionale, significa riscoprire insieme la dignità della filosofia: una filosofia che sia, come quella antica, medicina dell'anima, e con ciò perenne gioia nel presente. «Filosofia cioè ricerca della saggezza — e religione sono la stessa cosa: questo è il principio della salvezza per l'uomo», scriveva il giovane Agostino ne La vera religione, e queste sono anche le parole che Vannini pone (provocatoriamente?) in apertura del suo libro. Infatti questo splendido sistema di senso che è il cristianesimo può ancora salvare la nostra società dal nichilismo, a patto che non lo si riduca a un'ottusa dogmatica, che non soddisfa le legittime esigenze di verità dell'uomo contemporaneo e finisce per rivelarsi chiusa e intollerante, ma sia ricondotto a quello che veramente è: messaggio di liberazione, un messaggio che ha il suo centro nell'esperienza vissuta dal Cristo, e vivibile da ogni uomo, che è l'unità profonda, la non alterità, dell'uomo con Dio e di Dio con l'uomo. Esperienza spirituale per eccellenza, che avviene nel profondo di noi stessi grazie alla ragione, che insegna a relativizzare ogni contenuto, e dunque anche quelli della nostra egoità: davvero qui si può dire che lo spirito filosofico, laico, di verità coincida con quello più autenticamente religioso, al di là di tutte le superficiali contrapposizioni ragione-fede.