La Milanesiana 2013

Sezione: 

milanesiana 2013

Venerdì 28 Giugno

alle ore 21 presso l'Auditorium HQ Pirelli, in viale Sarca 214, a Milano, Marco Vannini terrà una lettura dal titolo "Mistico e segretissimo".


Testo della lettura:

“Mistico e segretissimo”

di Marco Vannini

L' italiano “segreto” deriva direttamente dal latino secretum, participio passato del verbo secerno, che a sua volta viene da cerno, con il prefisso se- , che indica separazione.

Il significato originario è dunque vedere, comprendere, discernere, e perciò distinguere, separare: secernere amicum blandum a vero, dice ad esempio Cicerone.

Il segreto è perciò qualcosa che si vuole tenere separato, per qualche motivo. Un primo motivo è che ce ne vergogniamo.

Questo aspetto è evidenziato da Nietzsche, che insiste sul fatto che usiamo sempre maschere, ovvero menzogne, per celare quello che siamo e vogliamo davvero, e che è riducibile in estrema sintesi all'amore di se stessi. “Ogni filosofia nasconde anche una filosofia, ogni opinione è anche un nascondiglio, ogni parola anche una maschera”. Perciò c'è sempre “qualcosa di molto sospetto” nelle affermazioni , nelle opinioni, nelle filosofie.[1] Basti pensare, infatti, che il sostantivo “mente” dà il verbo “mentire”.

Ci sono molte cose inconfessabili, da tenere segrete, ma il segreto dei segreti è il radicale egoismo, nelle modalità dell'avere, potere, sapere, volere. L'ego mantiene i segreti perché vuole nascondere quel segreto, ovvero la menzogna insita nella natura autoaffermativa propria di se stesso. Si legga in proposito lo straordinario pensiero di La Rochefoucauld (una delle fonti principali di Nietzsche) sull'infinita capacità di menzogna dell ego, che tutto sottopone ai propri fini, ai propri desideri, più o meno inconfessabili.[2] Più sinteticamente, ma con uguale efficacia, santa Caterina da Genova, scrive che noi abbiamo alle spalle “più abitudini alla appropriazione che non peli di un gatto, e talmente occulti che non si possono vedere né pensare”.[3]

Lo sa bene la tradizione mistica, che si riferisce spesso al salmo 115, 11: Omnis homo mendax. A partire dall’agostiniano Homo non habet de se nisi mendacium,[4] in essa è ben chiaro infatti che l'uomo produce da solo soltanto menzogna : questo è il suo secretum, anche proprio nel senso di prodotto, elaborato da noi stessi, come il “secreto” di una ghiandola.

Il segreto è occultamento della verità, ma, paradossalmente, il concetto stesso di verità può servire all'autoaffermazione dell'ego, che si nutre anche di questo suo preteso sapere. Si comprende perciò come un personaggio tanto diverso, almeno apparentemente, da Nietzsche parli della necessità di “liberarsi dalla verità”.[5]

Infatti ogni pretesa di verità, di “sapere”, scompare là dove il segreto appare nel suo aspetto di ciò che si vuole tenere separato ma non perché vergognoso, bensì, al contrario, perché puro, nobile, elevato.

Leggiamo ad esempio la conclusione del capolavoro di san Bonaventura, ove, dopo i sei gradi precedenti, corrispondenti alle sei ali del serafino alato che san Francesco vide sul monte della Verna, si tratta infine del transitus in Deum:

“In questo passaggio, perché sia perfetto, è necessario che si mettano da parte tutte le operazioni intellettuali e l'apice dell' affetto tutto quanto si trasporti e trasformi in Dio.

Ciò però è mistico e segretissimo, e non lo conosce se non chi lo prova, non lo riceve se non chi lo desidera, né lo desidera se non colui che il fuoco dello Spirito santo profondamente infiamma”.[6]

Rileviamo le due condizioni essenziali. La prima è la razionalità pienamente dispiegata, la ratio superior, in cui si sospendono tutte le operazioni intellettuali, e si fa il vuoto, nel senso buddhista del termine, del “niente sapere” del povero in spirito eckhartiano[7]. La seconda è l'amore esercitato nel grado più alto, dunque rivolto non a questo o quel bene, ma al Bene in sé. Infatti ogni amore di questo o quel bene è amore di se stesso e solo l'amore del Bene in sé, senza determinazione alcuna, è amore puro – non passione, ma termine e fine di ogni passione.

L'apice dell'affetto che si trasporta in Dio si trasforma in Dio, scrive Bonaventura, giacché, agostinianamente, si diventa quel che si ama,[8] e l'amore che, scoprendo infine la sua propria natura, ama l'Amore, diventa ed è l'Amore stesso.

Ragione ed amore operano insieme, perché v'è distacco solo in quanto amore, che toglie via ogni finitezza rimandando verso l'assoluto Bene, e v' è amore solo in quanto distacco, perché è l'intelligenza a scoprire il condizionamento, la finitezza, e dunque la non-assolutezza di quei pensieri che stanno per i nostri desideri.

I “due occhi dell'anima” della tradizione mistica, ovvero amore e conoscenza, che operano il distacco, non distaccano tanto dalle cose, quanto e soprattutto dall' egoità. Allora, proprio mentre si svela quel segreto vergognoso che tenevamo celato, ovvero la insopprimibile malizia dell' ego, insieme si rivela anche il vero io, che però non è più il mio io:

“Io sono tutto. Ma questo io è Dio. E non è un io”, scrive Simone Weil.[9]

Il paradosso è che questa luminosa scoperta deve restare, a sua volta, qualcosa di “mistico e segretissimo”. Di fronte alla sempre ricorrente tentazione dell'appropriazione egoica, la scrittrice francese ricorda infatti che:

“La vera fede implica una grande discrezione, anche nei confronti di noi stessi. È un segreto fra noi e Dio, dal quale noi stessi rimaniamo quasi del tutto esclusi”.[10]

“Discrezione”, “segreto”: termini dalla medesima origine, che rimandano a quella virtù, quella capacità, che era la discretio spirituum, il discernimento degli spiriti. Infatti anche Bonaventura parla del “fuoco dello Spirito santo”. Ma di spirito, santo o no, la psicologia non sa nulla e - purtroppo – ormai neppure la religione.


[1] Cfr. F. Nietzsche, Al di là del bene e del male. <Cosa è aristocratico>.

[2] Cfr. F. de La Rochefoucauld, Massime, a cura di M. Enoch, Newton Compton, Roma 1993, pp. 52 s.

[3] Cfr. Caterina da Genova, Vita mirabile. Dialogo. Trattato sul purgatorio, a  cura di F. Lovison, Città Nuova, Roma 2004, p. 60.

[4] È il Canone 22 del Concilio di Orange, del 529, largamente ispirato ad Agostino.

[5]È Meister Eckhart, che sta commentando il versetto paolino nunc scio vero liberati (Rm 6, 22 ), nei suoi Sermoni latini, n. 169, Città Nuova, Roma 1989.

[6] Cfr. Bonaventura, Itinerarium mentis in deum, VII, 4.

[7] Cfr. Meister Eckhart, sermone 52, Beati pauperes spiritu ( I sermoni, Paoline, Milano, pp. 388-396) e , in proposito, il mio Prego Dio che mi liberi da Dio, Bompiani, Milano 2010.

[8] Cfr. Agostino, In Ep. Ioh. II.

[9] Cfr. S. Weil, Quaderni, I, a cura di G. Gaeta, Adelphi, Milano 1982, p. 80.

[10] Cfr. S. Weil, Attesa di Dio, Rusconi, Milano 1984, p. 155.