Guida alla scoperta dello yoga occidentale

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La Verità, 11 novembre 2017

di Marco Vannini

Il fascino dell’Oriente è ormai un fenomeno ben radicato nella nostra società, a tutti i livelli, da quelli più banali delle diete, delle ginnastiche, dei corsi di meditazione, a quelli più seri della ricerca spirituale. Considerare tutto ciò soltanto una moda, una forma del moderno consumismo, è una spiegazione inadeguata: in realtà si cerca in Oriente, nelle sue filosofie e religioni – induismo, buddhismo, taoismo, ecc. – quello che non si trova in Occidente, e di cui c’è un bisogno assoluto perché – ci si perdoni il gioco di parole – è il bisogno dell’Assoluto, comunque lo si voglia chiamare: Dio, verità, luce, beatitudine.

Una prima considerazione che si impone è che questo bisogno insopprimibile dell’anima umana non è soddisfatto dal “sapere” occidentale, né da quello laico, né da quello religioso. La moderna scienza dell’anima, cioè la psicologia, parla, appunto, solo della psiche, ed ignora la realtà più profonda dell’essere umano, che non è la psiche, ma lo spirito. Questa ignoranza rende vano tutto il suo presunto sapere, che resta alla superficie, moltiplicandosi senza fine, tanto per cui oggi c’è psicologia di tutto e sono censite solo in Italia circa quattrocento “scuole” riconosciute di psicoterapia, in una sorta di supermercato per l’anima. Dal canto suo, la religione patisce il crollo di credibilità dovuto al suo confronto perdente con la scienza, non solo fisica, ma anche e soprattutto filologica, storica. Le autorità religiose non sanno altro che proporre delle fedi, cioè delle credenze, che, in quanto tali, si differenziano infinitamente a seconda dei desideri dei singoli, per cui non meraviglia che si assista oggi, anche all’interno del cristianesimo, al fenomeno della religione “fai da te”. Certo è, comunque, che i presunti saperi contemporanei, tanto psicologici quanto teologici, al bisogno di Assoluto non sanno dare soddisfazione. Infatti Freud proponeva la psicoanalisi come un modo per aiutare a sostenere la “normale infelicità”, ma anche le religioni rimandano all’aldilà la beatitudine. Non è un caso, allora, che si cerchi in Oriente non l’aleatorio piacere o l’altrettanto incostante felicità, ma quella gioia piena cui ogni essere umano aspira dal profondo dell’anima.

Il fatto è però che questo tesoro non si trova solo in Oriente, ma altrettanto in Occidente.

Partiamo da un esempio concreto, attuale. In questo 2017 si celebra il centesimo anniversario della pubblicazione di Il sacro (Das Heilige) di Rudolf Otto, un’opera estremamente significativa, che segnò davvero un punto di svolta per la comprensione del fatto religioso. Ci importa però qui ricordare che lo stesso grande studioso tedesco è autore, nel 1926, di un altro capolavoro, intitolato West-Östliche Mystik e tradotto in italiano dallo scrivente nel 1985 col titolo Mistica orientale, mistica occidentale.

Otto pone a confronto in questo libro quelli che gli appaiono i rappresentanti più significativi della mistica orientale e di quella europea, ovvero l’indiano Shankara e il tedesco Meister Eckhart. Si tratta di due personaggi vissuti ad enorme distanza temporale l’uno dall’altro - il primo presumibilmente nell’ottavo secolo, il secondo tra tredicesimo e quattordicesimo – nonché a distanza spaziale di migliaia di chilometri, per cui non è possibile congetturare alcuna influenza dell’orientale sull’occidentale - senza contare le abissali differenze delle culture in cui i due sono cresciuti.

Ebbene, quello che è davvero sorprendente è che le dottrine di entrambi i mistici sono vicine, prossime fin quasi all’identità. Infatti, al di là delle ovvie particolarità, l’insegnamento dei due maestri coincide sostanzialmente: occorre riscoprire la nostra vera essenza, il nostro vero “io”, distaccandoci da tutto ciò che è superficiale, inessenziale, e che ci avvolge nell’ignoranza della vera realtà di noi stessi. Questo materiale inessenziale è costituito dalle passioni, dai desideri, dai legami a questo o a quello: esso è come la terra che ricopre una sorgente. La sorgente c’è sempre, zampilla perennemente, ma se è coperta dalla terra non può dare la sua acqua, e nemmeno la si vede. Occorre sapere che c’è, che zampilla sempre, e togliere quella terra: allora conoscerai te stesso, che sei proprio quella sorgente.

Questa conoscenza di se stessi è la mistica, e non altro. Non esperienze eccezionali, di cui solo pochi sono favoriti (o colpiti), ma solo questa conoscenza essenziale, che è la conoscenza dello spirito. La mistica è perciò, potremmo dire, la scienza dello spirito, e quindi anche la vera psicologia, giacché lo spirito conosce l’anima come un suo oggetto, e non viceversa.

La rimozione della mistica dal corpo vivo della religione cristiana è cosa che risale a più di tre secoli fa, ed ha spiegazione storiche di cui non possiamo qui parlare, ma sta di fatto che questa déroute de la mystique, questo bando dato alla mistica, come dicono gli studiosi francesi, ha privato il cristianesimo della sua più profonda radice, rendendolo inerme di fronte all’aggressione della laicità e lasciandogli solo quello spazio di mera credenza cui sopra abbiamo accennato.

Una celebre espressione, attribuita al teologo Karl Rahner, dice che il cristianesimo del futuro sarà mistico o non sarà affatto. Occorre davvero andare alla riscoperta dei tesori di verità, di luce, che l’Occidente possiede. Ne va non solo della personale beatitudine, ma anche della sorte di un’intera società.

Conosci te stesso, e conoscerai te stesso e Dio, insegnava l’Apollo di Delfi. Mistica, dunque, innanzitutto come conoscenza di se stessi, e quindi come conoscenza di Dio, che è essere di ogni essere e perciò anche costituente essenziale del nostro essere. È dalla conoscenza di sé che scaturisce la conoscenza di Dio, insegna anche il Dottore mistico per eccellenza della Chiesa cattolica, il castigliano san Giovanni della Croce. Questo è il primo punto. Appunto, la mistica è scienza dello spirito.