Meister Eckhart - A caccia della luce smarrita dell’anima
Armando Torno, in: <Il Sole-24 Ore>, domenica 8 novembre 2020.
Meister Eckhart, contemporaneo di Dante (morì nel 1328 circa), uno dei massimi mistici di ogni tempo, insegnò che l’anima non è il complesso delle sue facoltà, ma possiede un’essenza profonda che è fuori da ogni condizionamento. Sono sue parole: «Vi è una luce nell’anima, ove non giungono né tempo né spazio. Tutto ciò che il tempo o lo spazio hanno mai toccato, non giunge a questa luce». Tuttavia, «è in questa luce che l’uomo deve stare». Chi desiderasse attualizzare, osserverà che il senso della vera salvezza dell’anima per Eckhart non va cercata nei metodi delle odierne psicoterapie.
Spunto e citazione le dobbiamo all’ultimo libro di Marco Vannini, uno dei massimi esperti del mistico domenicano, del quale ha tradotto e commentato le opere in oltre quarant’anni di studio. Il suo lavoro su tale autore è cominciato nel 1982 quando nella collana di classici della filosofia, diretta da Mario Dal Pra per La Nuova Italia, vide la luce un volume con la traduzione delle Opere tedesche. Da allora ha continuato senza sosta e in questi giorni ha pubblicato presso Le Lettere una raccolta di testi di Eckhart, tratti dai Sermoni o dal Commento al vangelo di Giovanni, intitolata L’anima e Dio sono una cosa sola.
Già nel titolo c’è un messaggio inattuale, sconvolgente. Del resto, proprio basandosi sul Sermone 59 Vannini ricorda che per Eckhart l’anima è così completamente una con Dio «che nessuno dei due può essere compreso senza l’altro». Insomma, non è possibile pensare «Dio senza l’anima, né l’anima senza Dio». E non si creda che il mistico domenicano sia rimasto isolato con le sue intuizioni, anzi. Filosofi non marginali e teologi di prima grandezza lo mediteranno. Esempio: soffermiamoci su una frase di Eckhart censurata a Colonia, riportata da Vannini a pagina 105: «L’occhio nel quale vedo Dio è lo stesso occhio in cui Dio mi vede; l’occhio mio e l’occhio di Dio non sono che un solo occhio, una sola visione, una sola conoscenza, un solo amore». Ora, a prescindere dalla genesi di tali concetti, che va cercata nel De Trinitate di Agostino, è bene ricordare che la frase del maestro fu utilizzata da Niccolò Cusano per il suo De visione dei e più tardi Hegel, nella prima parte delle Lezioni di Filosofia della religione, la saluterà con ammirazione e approvazione.
Noi, abituati a trattare le malattie dell’anima come un fenomeno naturale, siamo ormai lontani da siffatto linguaggio giacché viviamo non in mezzo a un politeismo, dove sono possibili diversi culti (come sosteneva Max Weber un secolo fa), quanto piuttosto - nota Vannini - «in un supermercato, dove sono offerte centinaia di “salvezze” per l’anima, religiose e non, sotto falsa specie di scienze, teologiche e/o psicologiche». In realtà queste pseudo-discipline sono già morte, sono - prosegue - «cadaveri ambulanti, come è dimostrato dal loro stesso patologico moltiplicarsi senza fine, ma continuano a sostenersi a vicenda nella menzogna, alla pari dei cortigiani parassiti ne I vestiti dell’imperatore». Meister Eckhart è paragonabile al fanciullo del racconto di Andersen e, come lui, urla: «Il re è nudo».
Il libro di Vannini può essere utilizzato come un esercizio per ritrovarsi in un’epoca come la nostra che vive l’assenza dello spirito. Aiuta a cercare quella luce dell’anima, che è poi la luce di Dio, che si è smarrita; un maestro domenicano che insegnò a Parigi e fu molto censurato ha ancora molto da suggerirci. E potrà anche aiutarci, giacché l’anima contemporanea se la passa proprio male. Da quando incontrò Freud, che la fece sdraiare su un lettino, non è più riuscita a rialzarsi.