Mistica e Filosofia nel pensiero di Marco Vannini

Sezione: 

stemma Università di Genova

Università degli Studi di Genova
Scuola di Scienze umanistiche
Dipartimento di Antichità, Filosofia e Storia

Corso di laurea in Filosofia

MISTICA E FILOSOFIA
NEL PENSIERO
DI MARCO VANNINI


Referente: Prof. Roberto Celada Ballanti

Coreferente: Prof.ssa Simona Langella

Candidata: Fabiola Deluigi

Anno Accademico 2011-2012


INDICE

Introduzione

  1. Alcune notizie biografiche
  2. l contenuto del presente lavoro

Capitolo primo: Mistica e filosofia

  1. Origini e significato del termine mistica
  2. Il percorso filosofico-religioso
  3. L'esperienza dell'Assoluto come fine dell'alterità

Capitolo secondo: Fede e distacco in Meister Eckhart

  1. La cristologia eckhartiana e il fondo dell'anima ( Grund der Seele )
  2. Il distacco eckhartiano e la dialettica hegeliana
  3. Il superamento della lettera

Capitolo terzo: Mistica e crisi religiosa contemporanea

  1. Riscoprire le radici platoniche del cristianesimo
  2. Dio come luce presente nell'anima
  3. Annullare ogni distinzione

Appendice

Tre domande rivolte a Marco Vannini

Bibliografia


INTRODUZIONE

1. Alcune notizie bibliografiche

Marco Vannini è uno dei più autorevoli studiosi italiani di mistica speculativa. Nasce nel 1948 nel paese d’origine paterna, S. Piero a Sieve (Firenze). A Firenze ha sempre vissuto e vive tutt'oggi. In questa città compie gli studi liceali ed universitari, si laurea in filosofia nel 1969 con una tesi su Wittgenstein metafisico e mistico. Nel 1980 consegue il grado di Baccalaureato in teologia.

Il suo interesse per la mistica risale all'adolescenza quando scopre la sola antologia di Meister Eckhart allora disponibile in lingua italiana. Con un lavoro ultratrentennale ha tradotto e curato l'edizione italiana di tutte le opere eckhartiane, diventando uno dei massimi conoscitori del pensiero del mistico renano.

Ha inoltre curato e tradotto le opere dei maggiori autori della mistica occidentale - da Taulero a Gerson, da Cusano all'Anonimo Francofortese, da Margherita Porete ad Angelo Silesius, per ricordarne alcuni - riscoprendone l'attualità.

La sua riflessione verte sull'origine comune di mistica e filosofia, non solo perchè entrambe hanno fonti greche, ma soprattutto perchè nel loro procedere si intersecano cercando una sola verità.

I suoi lavori più recenti trattano del problema religioso contemporaneo e  della crisi etico-religiosa del nostro tempo proponendo la via della mistica come una nuova possibilità per il cristianesimo.

Il suo pensiero è teso all'essenzialità della fede che egli intende soprattutto come distacco, e rigetta, quindi, ogni possibile rappresentazione e oggettivazione di Dio.

E' inoltre autore di moltissimi testi alle spalle dei quali sta un lungo e approfondito studio filosofico e teologico.

2. Il contenuto del presente lavoro

In questa tesi cercherò di condurre un’analisi circa l'origine comune di mistica e filosofia, tema che ricorre costantemente nei testi del nostro autore.

Nel primo capitolo analizzerò le origini comuni di filosofia e mistica e di come la filosofia confluisca nel cristianesimo. Per questo motivo, farò un breve accenno a Dionigi l'Areopagita e a Margherita Porete. Si farà un breve riferimento altresì alla concezione antropologica tripartita dell'essere umano, perchè risulta essenziale per comprendere il concetto di identità umano-divino che è la costante del pensiero di Vannini.

Nel secondo capitolo analizzerò il pensiero di Meister Eckhart, figura centrale nella riflessione del nostro autore, focalizzando l’interpretazione da lui offertane. Porrò l'attenzione sul tema del distacco, cuore della mistica eckhartiana, cercando di spiegarne il significato e cercherò di mostrare le affinità che sussistono tra la speculazione religiosa di Meister Eckhart e quella filosofica di Hegel.

Nel terzo capitolo cercherò di esporre le molteplici affinità che uniscono la filosofia platonica al cristianesimo delle origini ponendo l'attenzione alla sua componente mistica. Il mio sforzo sarà inoltre di esporre quanto il messaggio spirituale della mistica possa rappresentare una via alternativa, che si traduce in un concetto di fede diversa che non presuppone alcuna appropriazione del vero, e che, dunque, è tesa ad eliminare ogni separazione e può rappresentare una valida alternativa al nichilismo contemporaneo.

Completa il lavoro un'Appendice in cui Marco Vannini ha risposto a tre domande da me rivoltegli in relazione al suo pensiero, onorandomi della possibilità di apporre una pagina inedita all’interno del mio lavoro.

L'ultima parola di questa breve introduzione sia dunque rivolta a lui per ringraziarlo della sua disponibilità e gentilezza.  

Capitolo primo

MISTICA E FILOSOFIA

1. L'origine e il significato del termine mistica

"L'esperienza dello spirito è propriamente quella che possiamo chiamare anche esperienza mistica, purché la parola abbia il suo preciso senso, e non marginali e fuorvianti connotazioni visionarie e sentimentali" [1] .

Nel pensiero di Marco Vannini, massimo specialista italiano della mistica speculativa, il termine mistica non rimanda né all'eccezionalità né a visioni di tipo estatico, bensì a una vera e propria esperienza dello spirito, la cui condizione indispensabile è la stessa morte dell' io psicologico e la fine della volontà personale:

"L'esperienza dello spirito in quanto tale appare perciò insostenibile all'«uomo psichico», fatto di affermatività della volontà [...]" [2] .

La vita dello spirito si configura come esperienza stessa della Trascendenza e pertanto risulta difficile esprimerla attraverso il comune linguaggio concettuale.

Per riuscire a comprenderla, occorre superare la differenziazione fra soggetto e oggetto ed eliminare ogni concrezione categoriale che, in quanto tale, appartiene alla storicità ed esula dall'esperienza spirituale.

Vannini si sofferma costantemente sull'importanza che assume la comprensione del concetto di spirito:

"realtà permanente e profonda dell'uomo, ben oltre la superficiale mutevolezza dello psichismo [...]" [3] .

In tale direzione, Vannini scopre il significato dello spirito già nella filosofia eraclitea dove il termine sta ad indicare quella ragione capace di cogliere la natura unitaria del reale al di là della molteplicità:

"All'origine del concetto di spirito sta quello di logos, il principio che tutto governa, ossia la ragione, divina e umana insieme - universale e perciò opposta ai pensieri particolari [...] [4]

Ma la ragione umana, che è di fatto finita, può partecipare all'universale solo quando comprende che ogni sua conoscenza è in larga misura dipendente dalla sensazione e che, dunque, in virtù di ciò, non può essere assoluta. Essa, tuttavia, intesa come intelletto, ha la capacità di astrarre e superare così il particolare. Questo procedimento non è solo un esercizio dell'intelligenza ma di tutto l'essere:

"Che si tratti di una vera e propria conversione è evidente nel celebre mito della caverna, nel quale l'uomo è descritto prigioniero, nell'oscurità di un antro, vittima dell'illusione per cui crede vere ombre e parvenze della realtà" [5] .

E' chiaro che solo lo spirito può essere libero da ogni condizionamento e da ogni legame, mentre il corpo e la psiche sono soggetti al determinismo e legati alle cose con le quali intrattengono sempre un rapporto dualistico.

In tale prospettiva, Vannini recupera la concezione antropologica tripartita dell'essere umano - corpo-anima-spirito - distinguendo accuratamente il termine spirito dal termine anima come due piani ontologicamente distinti del Menschsein:

"Lo spirito è la razionalità vera, non più dipendente dalle cose e neppure dal soggetto [...]. Lo spirito ha una consistenza ontologica ben superiore a quella dell'anima." [6] 

L'anima, spiega Vannini, è comunque dipendente da elementi inessenziali, sempre legata alla contingenza in cui l'uomo è collocato: tuttavia, in essa vi è un centro che non muta e che permane scevro da ogni accidentale, sempre identico a se stesso al di là della nostra volontà e di ogni nostro desiderio, che non è soggetto ad alcuna determinazione e non è il prodotto di una nostra costruzione mentale, bensì si trova in noi da sempre, tanto che all'uomo spetta il solo compito di farlo tornare alla luce:

"La via da seguire è invece quella della rimozione, della purificazione di tutto ciò che è accidentale, che può esserci o non esserci, ma non ci costituisce davvero" [7] .

Non è difficile riconoscere che il processo di rimozione di cui parla Vannini è la dialettica, elemento di coincidenza tra la mistica e la filosofia: solo il movimento dialettico permette in effetti di eliminare ogni opposizione finita e di conciliare in unità i contrari. Allo stesso modo possiamo dire che esso è l'essenza stessa della mistica:

"Infatti la mistica è essenzialmente e intimamente dialettica , in quanto l'esperienza dello spirito è al di sopra di ogni contenuto e determinazione, e nello stesso tempo, del tutto in grado di rendere conto di ogni contenuto e determinazione" [8] .

Nel movimento dialettico vi è infatti un rimando continuo fra finito e infinito e tutto viene ad essere riportato, in ultima istanza, alla finitezza, ovvero alla natura finita di ogni nostro pensiero e di ogni nostra credenza. Perciò possiamo affermare che il distacco è dialettica, così come la dialettica è distacco, e lo si può comprendere appieno riflettendo attentamente sul percorso descritto da  Socrate-Diotima nel Convito.

Nel dialogo platonico viene ad essere descritto il cammino di Amore: egli procede dalla molteplicità del sensibile all'unità del trascendente, riconosce quest'ultimo come unico Bene desiderando di generarlo a sua volta, ma il Bene permane sempre al di là dell'essere e non diviene mai oggetto di appropriazione.

Amore è il filosofo, o meglio, è la filosofia nel suo significato più autentico e nella sua accezione più forte, una prassi di vita tesa a una trasformazione esistenziale attraverso un continuo esercizio della virtù:

"Infatti la filosofia non è un' acquisizione di conoscenze, ma un mutamento di tutta l'anima" [9] .

Attraverso un lungo lavoro filologico e storiografico, Vannini riscopre le comuni origini della filosofia e della mistica e sottolinea che la stessa etimologia di quest'ultima è da ricercarsi nel mondo greco, non come sostantivo, bensì come aggettivo del termine teologia coniato da Platone . Tuttavia, sostiene ancora lo studioso, sebbene le fonti della mistica siano greche essa è inscindibile dal messaggio evangelico e dal significato spirituale  dell'incarnazione di Dio:

"Troviamo infatti nella tradizione evangelica l'esempio di Gesù che dichiara di essere una sola con il Padre (cfr Gv 10,30); afferma la realtà di Dio come Spirito, negando ogni antropomorfismo o rappresentazione [...] la necessità del suo andarsene perchè giunga lo Spirito e, con esso, tutta la verità (cfr Gv 4,23)" [10] .

Nel pensiero di Vannini la mistica rappresenta l'essenza del messaggio cristiano e dell'Incarnazione, tanto più se si rammenta l'interpretazione della nascita del Verbo nel linguaggio dei Padri greci, ovvero il farsi del Verbo attraverso una generazione continua nell’anima:

"I Padri greci non avevano paura di parlare di divinizzazione [...] perchè avevano preso sul serio, in senso spirituale e non solo in senso storico, l' evento dell' Incarnazione" [11] .

La divinizzazione dell'uomo può essere racchiusa in questo semplice concetto: il Verbo si vivifica là dove l'uomo lo ascolta come puro spirito, come voce costante che invita alla trasformazione:

"Come sempre avviene, dall'esperienza mistica scaturisce il rinnovamento della vita morale: è nell'opera buona, nel pensiero buono, ovvero nella giustizia, che il Logos si genera nell'anima" [12]

L'identità umano-divina non è mai posta al di fuori del riferimento spirituale, perchè l'esperienza di questa unità è la vita stessa dello spirito e permane al di là di ogni oggettivazione. Come giustamente ha scritto Giovanni Reale, "Vannini rivendica l'importanza del pensiero platonico nella formazione del pensiero cristiano, con l'affermazione del primato dell'interiorità, mediante la conversione spirituale e l’imitazione di Dio" [13] .

La vita dello spirito si configura come distacco e, come costantemente viene affermato da Vannini, il distacco è sempre un procedimento dialettico dell'intelletto. Lo spirito e la ragione, quindi, non sono in antitesi bensì complementari. 

Si deve quindi ripensare daccapo alla nozione di fede e, come ha detto Simone Weil, ricondurre alla sua fonte greca il cristianesimo al fine di riconoscere che il Bene è sempre al di là dell'essere e sfugge a ogni determinazione e a ogni perchè:

"giacché il soprannaturale non è un oggetto da conoscere o conquistare, ma la luce che illumina questo mondo; chi ne fa un oggetto, lo abbassa." [14] .

2. Il percorso filosofico-religioso

"«entrare» nella mistica significa soprattutto compiere un viaggio, filosofico e religioso insieme, alla scoperta della verità, di se stessi e di Dio" [15]

Per Vannini non sussiste una vera e propria chiamata mistica, e non potrebbe essere altrimenti dal momento che l'esperienza mistica su cui egli riflette costantemente concerne un percorso di vita spirituale, un tendere dell'anima all'Assoluto, e questa è un’esigenza che appartiene tanto al pensiero religioso, quanto al pensiero filosofico [16]:

"In primo luogo, dunque, bisogna intendere filosofia nel senso classico, ovvero come un arte del vivere fondata sulla ragione.[...] In secondo luogo, bisogna intendere religione come culto di Dio: dunque l'essere rivolti all' universale, contro ogni particolare" [17] .

Ed è proprio nella ricerca dell'universale che la filosofia e la religione si incontrano e si scontrano in una sorta di lotta amorosa. Fu infatti la filosofia che si assunse il compito di inverare la sfera del sacro e di procedere verso la demitizzazione della religione tradizionale e si deve a Platone quel percorso che porta alla agathonizzazione del divino, ovvero all'idea secondo cui dalla divinità provengono i soli beni e non i mali ( Resp . 379 A ss.).

In altri termini, in questo processo in cui nasce la teologia in senso speculativo ( typoi perì theologhias ) il divino subisce un vero processo di razionalizzazione che non permette più di parlare di divinità capricciose, che agiscono nel mondo arbitrariamente, bensì di Bene trascendente che permane scevro da ogni antropomorfismo e indifferente ai culti esteriori.

"E' evidente perciò che, fin dall'inizio, la filosofia sia stata critica della religione [...]. Però, proprio in quanto ricerca della verità, non era affatto atea o irreligiosa; anzi, al contrario, combatteva contro le falsità mitologiche in nome di un concetto più puro ed elevato di Dio" [18] .

Vannini mette poi in luce quanto nel neoplatonismo, ultima sintesi del pensiero classico, si configuri appieno la via del distacco platonico, ovvero quella condizione essenziale per l'esperienza dell' Uno.

"Possiamo dire che la via del distacco trovi in Plotino il suo compimento". [19]  

Nella riflessione di Plotino confluisce infatti quell'idea platonica secondo cui l'anima ha la capacità di elevarsi dal sensibile all'intelligibile, anela all'Assoluto poichè cerca il solo luogo in cui possa dimorare, ma vagando nel molteplice non potrà mai trovare ciò che cerca: solo negando la molteplicità dell'essere può finalmente ritrovare la sua origine e ricongiungersi così al Bene.

"La grande sintesi plotiniana si comprende proprio a partire da questa esigenza, assolutamente universale". [20]

Il tendere dell'anima all'Uno è aspirazione al Bene e il cammino di ascesa all’intelligibile è lo stesso cammino interiore dello spirito umano che ritrova se stesso come puro spirito:

"chi si rivolge verso l'Uno, fonte di ogni luce, finisce per trovarla, trovando se stesso come luce nella luce". [21]

E' come se nel pensiero di Marco Vannini il naturale e il soprannaturale formassero un unico plesso che fa svaporare il dualismo teologico dei due piani e le rigide categorie di spazio e tempo.

Attraverso la sua riflessione egli intende riscoprire quel pensiero filosofico antico che, filtrato e rielaborato, fu ereditato dal cristianesimo delle origini e che rappresentò l'essenza della mistica cristiana.

Vannini evince questa perfetta sintesi nel testo di un autore della fine del quinto secolo, Dionigi Areopagita, che egli non esita a definire:

"La figura storicamente più importante nella mistica cristiana antica [...]. Sta di fatto che i testi ascritti a Dionigi fondarono la mistica in Occidente[...]" [22]  

 Il testo di Dionigi, Teologia mistica , è un vero e proprio compendio della via apofatica, meglio conosciuta come teologia negativa, nella quale, come nota giustamente il nostro studioso, la negazione viene ad essere applicata ad ogni immagine e a ogni presunto sapere positivo su Dio:

"Concetto fondamentale di Dionigi è che «alla Causa di tutte le cose, che è superiore a tutte le cose, nessun nome si addice, e si addicono tutti i nomi delle cose che sono»" [23] .

Ciò significa che ogni uomo coglie di Dio quello di cui è capace e, tanto più l'intelletto si riesce a staccare dal sensibile, quanto più riesce ad avvicinarsi alla perfezione divina. Al di là, quindi, di una conoscenza di Dio, Dionigi sembra riferirsi a un cammino di ascesa che porta all' unione con ciò che sta anche al di sopra di ogni negazione. In questo percorso viene ad essere eliminata ogni rappresentazione e ogni mediazione e scompare ogni tipo di antropomorfismo divino:

“Qui compare invece quel concetto di Dio che è proprio dell'uomo completamente distaccato, libero da ogni contenuto e da ogni legame con se stesso […].” [24]

Sembra che ci si trovi di fronte a un'aporia poichè ci si domanda come possa conciliare il Dio biblico, determinato nei modi, con quel concetto di Dio dell'uomo distaccato: eppure tale aporia si rivela solo apparente, e si scioglie all'interno del cristianesimo stesso.

Vannini, attraverso il bellissimo testo di Margherita Porete, spiega infatti come siano sempre coesistite due diverse anime nel cristianesimo, una accidentale e una sostanziale, e di come quest'ultima preceda e superi la prima.  

Il testo di Margherita, lo Specchio delle anime semplici , è un vero e proprio percorso dialettico dello spirito che parte dalla Scrittura ma la supera. Margherita procede dal riconoscere l'essere umano sempre soggetto alla necessità e, in quanto tale, legato alla finitezza; è conscia che per unirsi a Dio deve prendere congedo da tutto ciò che è determinazione ma, anche, e soprattutto, da se stessa, poichè è solo dopo la morte dell'io personale che si genera la vita dello Spirito.

"La conoscenza dell'anima, di se stessi e di Dio, implica infatti una trasformazione profonda, una morte, con tutto il suo dolore, e, poi, una rinascita." [25]

L'abbandono deve essere radicale perchè ogni tipo di legame è un ostacolo alla manifestazione dello Spirito stesso, quindi anche la stessa Scrittura, in quanto prodotta da mano umana, diventa partecipe della finitezza e deve essere superata.  Il cammino di Margherita è pervaso dall'umiltà e c'è sempre il riconoscimento della finitezza umana come condizione di rimando all'Assoluto:

"la conoscenza della propria miseria, della propria radicale sottomissione alla necessità, e perciò distruzione di tutto il determinato." [26]

Ma la fine di ogni determinazione annulla altresì la radice di ogni desiderio e l'anima conquista così la completa libertà in quanto ormai priva di ogni accidentale:

"trasformata per amore nel suo Amico divino, il suo nulla possedere, nulla desiderare, è tutto avere e tutto godere." [27]

Il percorso di Margherita è affine al percorso del Convito platonico ma il cammino che ella percorre è essenzialmente cristiano. Certo non è più possibile parlare di cristianesimo dottrinale - perchè qui il positivo di ogni religione viene ad essere superato - ma al tempo stesso si deve ammettere che sarebbe impossibile parlare di vita dello spirito al di fuori di esso:

"Non v'è dunque Spirito, vita di Dio in Dio, se non grazie al Figlio, ovvero al momento della conoscenza, cioè del distacco [...] Perciò vi è Spirito solo nella Trinità, ed ogni religione non trinitaria, priva della dialettica Padre-Figlio, Lontano-Vicino, è mera alienazione" [28]

La logica trinitaria è logica dialettica che appartiene tanto al cristianesimo, quanto alla filosofia, essa permette di tenere insieme, senza per altro confonderli, il finito e l'infinito, ovvero l'umano e il divino.  Si deve riconoscere che il messaggio spirituale cristiano e il messaggio trasmesso dai filosofi antichi mostrano più di una semplice affinità, e nel loro procedere trovano una perfetta coincidenza.

"La ricerca della verità, del Bene, consiste infatti nel distacco, nell'esercitarsi a morire, come insegna Platone, e perciò il messaggio evangelico si incontra con l'essenza stessa del filosofare - anzi, è tutt'uno con essa" [29] .

Il pensiero filosofico confluisce nella mistica e ciò che li unisce è il rifiuto di qualsiasi dogmatismo. Per questo la mistica diventò una sorta di componente eversiva all'interno del tessuto cristiano e ne venne allontanata, ma allontanandola il cristianesimo perse anche le sue radici filosofiche e diventò una sorta di sistema chiuso e dogmatico.

"Infatti la mistica fu sconfitta dall'incomprensione e dall'ottusità dogmatica, nel Trecento prima e poi, definitivamente, alla fine del Seicento, e cosi la cristianità, priva della verità, è anche andata progressivamente in crisi[...]" [30] .

Se l'uomo contemporaneo, che non ha più una destinazione etico - religiosa, intende davvero ritrovare dei valori autentici non può che scegliere la via del distacco, ovvero rinunciare a se stesso in quanto egoità e riscoprirsi come puro spirito:

"Morire a se stesso, fare il vuoto, significa ricevere immediatamente Dio in noi" [31] .

3. L'esperienza dell'Assoluto come fine dell'alterità

"La grazia è quella luce, quella bellezza, quella dolcezza, quella pace, che giunge nell'anima quando si è rinunciato a se stessi, ovvero si è abbandonata la volontà [...]" [32] .

La rinuncia a se stessi e alla propria volontà è ciò che permette il generarsi dello spirito nell'uomo ed è in questa esperienza che il divino non può più essere concepito come Altro, perchè "il Dio soggetto altro è la multiforme creazione del volere, la proiezione dell'ego" [33] .

L'esperienza spirituale è nel distacco e si configura altresì come esperienza della grazia, ovvero come esperienza dell'universale:

"Il distacco è l'abbandono dell'egoità e la lieta apertura all'universale, a Dio. Dove c'è l'io, l'egoità, lì non può effondersi la grazia" [34] .

Occorre tuttavia chiarire che l'esperienza della grazia di cui parla Vannini non sottende alcun riferimento alle tesi del pelagianesimo.  Non si tratta quindi di sostenere la capacità dell'uomo di operare la salvezza con le sue sole forze, ma piuttosto la possibilità che ha l'uomo di vivere costantemente nella grazia operando il distacco:

"La grazia non si conquista, viene da Dio, però è con l'amore della verità, con l'amore della giustizia, del Bene, che si sgombra il campo dalla falsità, si fa il vuoto nell'anima nostra" [35] .

Il vuoto dell'anima è la morte dell'egoità, costante della mistica speculativa, la falsità è la pretesa di appropriazione di una verità che di fatto non è possibile possedere: questi due concetti formano un sinolo entro cui si articola e si snoda la riflessione di Marco Vannini, essi riassumono quel principio secondo cui la rivelazione del Logos divino è una verità che si disvela nell'uomo e non può fossilizzarsi  in alcun sapere:

"l'uomo che si è rivolto alla luce, che è diventato << interiore>> , aprendo l'occhio dell'anima, non ha più l' essere come altro, da <<.sapere>> o in cui credere perchè sta nell'essere [...]" [36] .

E' all'interno di questo contesto profondamente spirituale che si devono dunque interpretare le affermazioni del nostro autore, è in una tale apertura alla Trascendenza, che supera ogni posizione esclusivistica della rivelazione, che viene ad essere sostenuto che ogni teologia è menzognera:

"In realtà il discorso teologico fornisce informazioni non su Dio, ma sulla mentalità di chi lo proferisce e ha perciò perfettamente senso, ma in quanto descrizione dell'umano" [37] .

Affermazione che può anche apparire sconcertante, ma che risulta altrettanto pertinente all'interno del riferimento spirituale: è la stessa nozione di spirito che non permette più l'idea di Dio in quanto speculativamente rivestito di attributi, o un Dio personale, come di fatto è il Dio biblico, perchè lo spirito, permanendo al di là di ogni possibile concettualizzazione, si rivela ineffabile e porta inevitabilmente a considerare ogni costrutto letterario propedeutico alla verità ma non esso stesso verità. La vita dello spirito e l'esperienza della grazia oltrepassano ogni fissazione scritta, si ampliano svelando un messaggio universalistico, che  non può essere dunque prerogativa di un certo sapere teologico e di un’unica Chiesa.

Vannini sottolinea inoltre che questo aspetto menzognero si rivela ogniqualvolta si cerchi di ostentare una verità come verità assoluta, e che di fatto l'errore sta nella pretesa di possedere un sapere certo su Dio.

Questa pretesa di verità, come nota ancora il nostro autore, crea una sorta di circolo vizioso non permettendo più alcuna verità. Permane un’unica alternativa: superare il sapere teologico e distaccarsi da ogni forma appropriativa del sacro. Trascendere ogni fede religiosa positiva, e trascendere infine anche se stessi: solo così l’uomo può cogliere Dio come verità, ovvero come spirito.

Per Vannini, dunque, la verità non può essere conoscenza di Dio inteso come Altro perchè ciò porterebbe inevitabilmente a ridurlo ad un qualsiasi ente possibile e la verità, cosi intesa, diventerebbe appropriazione di un soggetto conoscente:

"La verità che è la parola di Dio, la presenza stessa di Dio nell'uomo, si mostra solo all'uomo distaccato." [38]

Sotto questo profilo appare chiaro perchè Vannini sostenga più volte che è l'alterità umano-divina che crea l'ambiguità: dove infatti sussiste ancora l'io personale c'è sempre appropriazione di qualcosa e dunque un rimando all'oggettivazione, e questo errore, sottolinea il nostro autore, sorge in ambito di una concezione dualistica.

Eliminato il dualismo lo stesso concetto di conoscenza, che non fa più fede in una sistematica o in una teologia, assume un'accezione diversa, non è più appropriazione di un sapere ma è un essere la cosa stessa entro cui l’uomo conosce sé e Dio come un unica realtà:

"Non v'è un Dio nascosto dietro il mondo, simile ad un deus ex machina, ma un unica realtà, un unico essere, un unica luce, che si manifesta in tutte le cose, là dove scompare ogni dualismo [...]" [39]

In tal senso Vannini sostiene che nell'esperienza della grazia non può più sussistere alcuna forma di alterità, perchè di fatto il piccolo io personale è morto e Dio vive in ogni uomo come Logos:

"non c'è più un io e un tu, un mio e un tuo in questo oceano di luce[...]" [40] .

 L'anima scopre così la sua essenza più profonda al di là delle sue accidentali facoltà, scopre se stessa come luce eterna e la beatitudine diviene presente come realtà vivente.   In questa perfetta unità nulla può più essere desiderato o voluto proprio perchè come sostiene Vannini "la grazia è solo un grazie. " [41]

In tale esperienza spirituale l'unione con Dio giunge al suo vertice e da questo momento amante e amato coincidono:

"Lo sguardo con cui si guarda all'eterna luce diventa il medesimo sguardo con cui essa ci guarda: un solo sguardo, un solo amore, un solo spirito, una sola luce" [42] .

Un'esperienza di identità che è possibile solo in virtù della dialettica che Vannini identifica con lo stesso concetto di distacco poichè entrambi mostrano la stessa natura speculativa del loro operare:

"Perchè di questo si tratta: di operare un distacco da ogni rappresentazione[...] Il distacco è dunque un operazione di astrazione che disindividualizza e dematerializza l'oggetto sensibile [...]". [43]

L’oggettivazione e ogni tipo di rappresentazione cessano solo all'interno di questo movimento che nega ogni possibile contenuto determinato, l'essenza stessa della fede diventa movimento che procede negando, negando anche Dio in quanto ente determinato o come puro essere, perchè nel divenire continuo lo stesso concetto di nulla si rivela il vero fondamento dell'essere stesso.

"Ovvero lo spirito può conoscere se stesso come spirito, come assoluto, solo quando s sa come attività che porta l'essere al nulla ed il nulla all'essere; dunque quando riconosce l'assoluto non nella quiete della morte, ma nel movimento, nella vita" [44] .

Scardinato ogni legame con il particolare subentra quella letizia di essere liberi da ogni volere e da ogni sapere. In tale esperienza di libertà ogni istante si carica della valenza dell'eterno presente e si vive costantemente nella grazia.

"La grazia è quella mirabile forza che trasforma il finito nell'infinito, il relativo nell'assoluto- ovvero che da ad ogni istante il carattere luminoso e gioioso dell'eterno, di un miracolo che ad ogni istante si ripete, tanto antico e sempre nuovo" [45] .

Siamo di fronte a quel concetto di interiorizzazione del religioso che travalica l'assolutizzazione della lettera ma che persiste comunque in ambito del cristianesimo, non in quanto struttura istituzionale, perchè il divino, puro spirito, non è localizzabile in nessuna chiesa, bensì come parola, come Logos che vive e si adora nel tempio dell'anima.

La grazia si rivela quindi come abbandono e liberazione da ogni volere è un vedere tutto con gli occhi di Dio, che diviene la più alta adesione di fede, perchè nella grazia il regno di Dio è vivo nell'intimo dell' anima umana e l'uomo diviene quella stessa luce che Dio è.

"La grazia, lo spirito, è la nuova vita che giunge nell'uomo e lo trasforma, indipendentemente dall'immagine del mondo che l'uomo ha in quel momento storico, e con cui la grazia non ha niente a che fare" [46] .

CAPITOLO SECONDO

FEDE E DISTACCO IN MEISTER ECKHART 

1. La cristologia eckhartiana e il fondo dell'anima ( Grund der Seele )

"La fede non è credenza, ma distacco: essa distrugge tutte le credenze, tutti i contenuti, visti nella loro finitezza, nella loro insopprimibile menzogna, a servizio cioè della volontà particolare, e solo così fa completa chiarezza, piena luce" [47] .

La coincidenza fede-distacco, fulcro della riflessione di Marco Vannini, si inserisce nell'orizzonte dei suoi numerosi lavori sul pensiero di Meister Eckhart, il maestro domenicano del Trecento e massimo esponente della mistica speculativa tedesca, il cui pensiero verte sull'unità del logos umano con il Logos che è Dio:

"Ma si tratta non di un Dio <<rivestito>> di attributi, determinato in questo o quel modo[...] bensì di Dio come è nella sua <<nudità>>, ovvero come è in se stesso, quando si genera come Logos nell'anima nostra" [48] .

Il luogo in cui la voce di Dio diviene parola vivente è l'anima, o meglio, ciò che il Maestro definisce Grund der Seele: quel luogo non luogo, quell'abisso più profondo dell'anima umana in cui ogni determinazione è dissolta e ogni alterità è ormai eliminata.

"Il magistero eckhartiano consiste in effetti in questo soltanto:nel cercare di far comprendere che non c'è un Dio lassù mentre noi stiamo quaggiù, ma che Dio e io siamo una cosa sola  [...]" [49]

Nel pensiero di Eckhart il fondo dell'anima è Dio stesso. Va però specificato, così come mette in luce Vannini, che il termine Grund non deve essere inteso come fondamento ontologico: non è quindi possibile identificarlo con l'essere questo o quello, e, d'altra parte, se così non fosse si cadrebbe nell'errore di oggettivarlo:

"infatti il fondo stesso dell'anima non è un fondamento su cui posare, ma un fondo senza fondo ( Grund-Abgrund ), movimento e vita" [50] .

Altrettanto impossibile risulta inoltre sostanzializzarlo poichè il Grund è essenza stessa di questo continuo movimento, non identificabile dunque con un entità statica e in quiete, ma piuttosto con l'eterno dinamismo del divenire dello Spirito:

"Eckhart ha infatti un concetto dell'essere non come immoto essere, ma come movimento in se stesso, ebollizione, ebullitio , generazione di se medesimo" [51] .

Nei sermoni eckhartiani il movimento dello spirito persiste come costante ed è il suo divenire continuo che permette di dissolvere ogni rappresentazione e ogni contenuto determinato riconoscendoli come altro dalla Verità:

"Perciò il distacco è l'incessante portare all'assolutezza il finito e distruggere ciò che si presenta come assoluto, e perciò il reale gli si mostra dialetticamente, e dialettica è il suo stesso essere e la sua stessa vita" [52] .

Questo sguardo nuovo, sulle cose e sul mondo, è la conversione di tutto l'essere verso il Bene, ed è ciò che Eckhart definisce la morte dell' anima nelle sue facoltà, condizione che permette la generazione dello spirito:

"Questa morte non avviene però una volta per sempre, ma in ogni istante, perchè a ogni istante rinasce l'amor sui , e perciò in ogni istante opera la grazia, col distacco" [53] .

Questa morte si configura altresì come fuoriuscita dallo psicologico e annullamento delle potenze dell'anima, solo così umano e divino trovano la loro perfetta coincidenza. Vannini sostiene inoltre che l' anima può morire come individualità e riconoscersi come Logos divino solo nel movimento continuo.

In altri termini, se non può esservi né un prima né un poi, allora non ha neppure alcun senso parlare di unità se non in rapporto a questo continuo divenire:

"In questo movimento dialettico, l'unità è possibile solo nel divenire, nel distacco appunto, che dissolve tutti i contenuti[...] giacché l'unità è sì non essere alienati, fuori di sé, ovvero in contenuti che pongono il valore in altro, ma ciò è impossibile nella stasi, nella immobilità[...]" [54] .

Nella riflessione eckhartiana il distacco si configura come dialettica, ovvero identità dei contrari e conciliazione tra il permanere dell'essere dell'Uno e il divenire del molteplice. Non sarebbe possibile sopprimere uno dei due termini poichè si rimandano vicevolmente:

"Allora è chiaro che la finitezza delle cose è necessaria e rimanda incessantemente ad una infinitezza di cui in qualche modo esse partecipano; e così il contenuto finito che sta per esse non è opposto all'infinito, ma parte di esso" [55] .

E' pertanto inevitabile che questo procedimento implichi il rifiuto di ogni pretesa di assolutezza circa un qualsiasi contenuto finito e ci induca a riconoscere che ogni nostra costruzione mentale è solo un relativo, perchè, come ci fa notare giustamente il nostro autore:

"[...] mente, in latino mens, è il sostantivo il cui verbo è mentire, mentiri latino, per cui si potrebbe fare un bel gioco di parole: Cosa fa la mente? semplice: la mente mente" [56] .

E' in tale prospettiva che ogni teologia dottrinale e ogni discorso teologico si rivelano inadeguati, perchè su ciò che è interminabile movimento della vita dello spirito non può esservi alcun sapere dogmatico, e dunque al di là di ogni sapere teologico, che propone comunque un contenuto finito, sembra  esistere una verità più profonda ed intrinseca all'uomo stesso che si può forse tradurre col concetto di identità uomo-Dio.

E' interessante notare che, in questa prospettiva, il rapporto tra uomo e Dio esula da qualsiasi fine, anche dal più nobile, poichè l'uomo non opera più in prospettiva di qualcosa, sarebbe infatti assurdo, sostiene Vannini, essere in comunione con Dio e chiedere qualcosa di inferiore a Lui. Perciò in Eckhart - nota ancora il nostro autore - non vi è mai l'utilizzazione della figura di Cristo a fine salvifico e la salvezza non viene mai letta in chiave escatologica. Anche per questo motivo il significato dell’Incarnazione, nel pensiero del mistico renano, viene ad essere proiettato nel presente, non è pensato solo come evento storico fissato nel passato, ma piuttosto come un accadimento continuo nella realtà del "qui e ora".

Nella speculazione del mistico Dio si fa uomo eternamente e l'uomo diviene con Dio, così come Dio diviene con l'uomo, entrambi riconoscendosi come unico spirito:

"Spirito è la realtà assolutamente presente, la luce completamente presente, nella fine di ogni alienazione, senza oggettività residue, senza alcun bene da cercare ulteriormente, nel futuro o all'esterno, ma tutto presente qui e ora, in tutte le cose, la cui infinita bellezza si dispiega appunto «senza perchè»" [57].

Certo questo linguaggio ad alcuni può apparire ambiguo, perchè l'esperienza dell’unità uomo-Dio-mondo porta spesso a pensare al panteismo ma, come nota ancora Giovanni Reale, il concetto di spirito a cui fa richiamo Vannini si pone al di sopra della psychè , dunque al di là di tutto ciò che è materia:

"L'essere o la sostanza dell'anima, in effetti, non è riconducibile al puro elemento psicologico, ma consiste proprio in quel nesso strutturale dinamico-relazionale fra uomo e Dio e viceversa" [58] .

Va infine sottolineato che il concetto dell'identità uomo-Dio non può essere staticizzato perchè la sua essenza è il movimento, l'unità, quindi, non può essere identificata con l'uno o con l'altro perchè lo spirito non si lascia mai catturare in un contenuto finito.

"ed è perciò vera , luce e vita, solo se non si fissa né nell'Altro né in nobis: il suo essere più proprio è questo terzo elemento, ovvero quel movimento, da noi all' Altro e dall' Altro a noi, che è lo spirito " [59] .

2. Il distacco eckhartiano e la dialettica hegeliana

A questo punto appare quasi superfluo precisare che la fede di cui parla Vannini non ha nulla a che vedere con il sentimento o con la credenza, perchè nel suo pensiero la fede è essenzialmente trasformazione esistenziale:

"Questa è la vera, necessaria, conversione: non l'adesione a una credenza, ma la rinuncia a se stessi, la morte dell'anima, morte dell'uomo vecchio, nascita dell'uomo nuovo" [60] .

E' altresì implicito che questa conversione può avvenire solo attraverso un percorso in cui fede religiosa e fede filosofica si intersecano inevitabilmente. La religione stessa viene ad essere concepita come movimento dell'intelligenza e se viene ad essere privata di quest'ultima rischia di scadere in mera mitologia.

Per Vannini, quindi, la fede non è qualcosa che va e viene a seconda di uno stato d'animo ma, piuttosto, è qualcosa di inerente alla profonda conoscenza di noi stessi:

"Perciò la conoscenza di noi stessi, la conoscenza dell'anima, è possibile solo in quanto v'è la fede, nel senso di orientamento all'Assoluto, alla verità, alla luce" [61] .

Questo muoversi verso l'Assoluto è lo stesso dispiegarsi della ragione umana che comprende lo Spirito al di là delle rappresentazioni finite.

La fede dunque, conoscenza dello spirito attraverso lo spirito, può essere rettamente intesa come ingresso in una nuova vita, nella vita dello spirito, perchè:

“essa è un sapere, una certezza, un possesso, non un semplice tendere e sospirare" [62]

Senza conoscenza la fede permane un concetto vuoto e, sebbene possa apparire paradossale, la conoscenza di Dio non è altro che la negazione stessa di Dio, di quel Dio inteso come rappresentazione o come possibile contenuto di un pensiero determinato. Forse è possibile riassumere così il senso di una delle più contestate frasi di Meister Eckhart, quel " prego Dio che mi liberi da Dio " presente nel sermone 52 intitolato Beati pauperes spiritu  e titolo di un libro recente di Vannini, ovvero come liberazione da ogni credenza per giungere all'essenza stessa della fede:

"Questa non è solo la conciliazione fra umano e divino, la fine della alienazione o la riunificazione della coscienza, della coscienza infelice, ma la vera e propria conquista di una dimensione nuova, di un nuovo sapere, di una nuova vita" [63] .

La riflessione di Vannini sul concetto di fede è speculare sia a quella di Eckhart che a quella di Hegel, egli ritrova l'affinità del loro pensiero nel concetto di morte mistica, ovvero in quella volontaria rinuncia alla volontà personale, certamente Hegel fa uso di termini differenti e si serve di un linguaggio prettamente filosofico ma, come sottolinea sempre Vannini, ciò che li accomuna è più forte di ciò che li diversifica.

"L'elevarsi dello spirito dalla sua volontà naturale è negazione del volere particolare, e può perciò essere chiamato "morte" - una morte dalla quale lo spirito in quanto tale prende vita" [64] .

Il cuore della filosofia hegeliana della religione è dunque ciò che nella speculazione eckhartiana è il distacco, quel movimento attraverso cui l'umano può riconoscere se stesso come spirito, e che è formato da due momenti che non possono essere scissi, dall'azione congiunta di amore e intelligenza, che affermano e negano all'infinito formando la sintesi:

"Questo è il punto: non uno solo dei due momenti -quello dell'amore che tutto accetta e mantiene, oppure quello dell'intelligenza/distacco che tutto nega- ma la sintesi di entrambi, che sono poi un movimento solo- come risulta evidente quando ciascuno dei due momenti è portato all'infinito" [65] .

All'interno della riflessione hegeliana, infatti, lo spirito non è mai formulato come staticità perchè persiste sempre la consapevolezza umana di muoversi nell'ambito della necessità e del determinismo, e, sebbene la fine della volontà personale permetta la coincidenza tra umano e divino facendoli riconoscere come unico spirito, è altresì nella stessa coincidenza che l'umano si comprende come essere finito.

Questo pensiero della filosofia hegeliana sembra davvero esprimere l'identità fra cristianesimo e filosofia, in esso è infatti racchiusa la concezione trinitaria di Dio: lo spirito che si genera dal Padre e dal Figlio non creato, ma generato, che dunque non può esistere come soggetto estraneo al Padre, ma solo come assoluto egli stesso in quanto spirito diveniente:

"Del resto, Hegel insiste spesso sul fatto che la comprensione dell' Assoluto, di Dio come spirito, è possibile solo all'interno della concezione trinitaria di Dio, giacché lo spirito «procede dal Padre e dal Figlio», ovvero da un assoluto inteso come sostanza, immutabile in sé, e da un assoluto inteso come soggetto, finito, diveniente, mortale ancorché eterno, ovvero assoluto" [66] .

 Riflettendo attentamente su tale concetto si potrebbe asserire che, al contrario di quanto avviene nella teologia, che fissa il sacro ponendo qualcosa di definito come assoluto, nella riflessione hegeliana l'Assoluto diviene eternamente, e  non viene ad essere definito in alcun modo:

"Potremmo anche dire , dunque, che l'essere si dà, si mostra, è nel divenire  medesimo" [67] .

 In questo senso è implicito che ogni credenza e ogni rappresentazione divenga un ostacolo che non permette il generarsi dello spirito, in altri termini, paradossalmente, è la "morte di Dio" inteso come Altro, come simbolo, che permette l'inizio del cammino della fede come conoscenza dello spirito:

"Tolta ogni alterità dell'essere, ogni oggettivismo, ogni dualità tra conoscente e conosciuto, il sapere dello spirito è lo spirito stesso" [68] .

Vannini mette in luce quel concetto di fede in cui è più importante l'essere che il credere, comprendere, dunque, che quella parte più profonda dell'anima umana è Dio stesso, ma solo la fine dell' alterità permette il generarsi dello spirito e di un nuovo uomo capace di cogliere il positivo nel negativo:

"Alterità dell'essere è infatti lo stesso che alterità del bene, e la fine dell'alterità dell'essere coincide con la fine dell'alterità del bene, ovvero di Dio" [69] .

In questo senso risulta davvero difficile scindere il pensiero filosofico da quello religioso perchè nella riflessione di Vannini essi formano un sinolo, sono coincidenti nel ricercare la stessa verità, d'altra parte l'esperienza di rinnovamento dell'uomo concerne tanto la sfera religiosa, quanto quella filosofica, poichè entrambe esulano  dall’oggettivismo e volgono nello spirituale.

Si potrebbe dunque affermare che per il nostro autore la fede è soprattutto esperienza di Dio nell'anima, e che la stessa conoscenza di Dio può essere infine racchiusa nelle famose parole dell'Apollo delfico "Conosci te stesso, e conoscerai te stesso e Dio" [70]

Questo concetto, che è certamente di matrice platonica, non possiede tuttavia  alcun vincolo di appartenenza ad un determinato periodo storico e, attraverso l' attento lavoro storiografico di Vannini,  si evince quanto esso riesca a dissolvere le barriere del tempo per ripresentarsi come costante nel pensiero della mistica cristiana formando con essa un plesso unitario.

3. Il superamento della lettera

"Essere la cosa stessa, non avere un sapere separato dall'essere ,che guarda all'essere come a cosa diversa da se stesso. " [71] 

L'insegnamento della mistica può essere riassunto in questa breve frase: al di là dell'acquisizione di un certo sapere risulta essere più importante diventare quello stesso sapere. Ecco il motivo per cui la mistica rigetta ogni tipo di oggettivazione ed erode ogni tipo di contenuto finito, anche quello biblico.

Vannini riscopre le radici platoniche del Cristianesimo e supera la rappresentazione del divino riscoprendo quell'esperienza universale della «luce eterna», esperienza interiore di Dio che si declina nel presente, nell'attualizzazione dello spirito attraverso un cammino di vita che si articola  attorno alle tre negazioni eckhartiane:

"Niente volere, niente sapere, niente avere. Il punto essenziale del discorso sta in questi ‘niente’ che non ammettono deroghe" [72]

Il nulla volere è la rinuncia alla nostra volontà, la cosa più difficile come puntualizza spesso il Nostro, poichè essa concerne sempre il desiderio e un fine di cui ci si vorrebbe appropriare, nasce così l'idea, tutta umana, di un Dio a cui chiedere qualcosa, che è un concetto di Dio sbagliato perchè assume un significato servile al volere stesso.

"Il desiderio dell' eternità, di Dio ecc., non è un desiderio "buono", diverso dai desideri "cattivi", ma solo un desiderio diverso dagli altri, cosiddetti mondani" [73]

Il nulla sapere è la povertà dello spirito, ovvero la rimozione di un presunto sapere assoluto sul rapporto che intercorre fra Dio e il mondo, perchè ogni tipo di sapere rimanda alla dimensione della dissomiglianza, dove soggetto conoscente e oggetto conosciuto permangono distinti, ma nella dimensione spirituale la distinzione evapora.   E' sempre l'io psicologico che immagina un Dio personale e lo riduce ad un possibile ente fra gli enti, ovvero ad un possibile oggetto del sapere fattuale, mentre lo spirito, nota Vannini, permane al di sopra di tutto ciò, ovvero il Bene permane al di là dell'essere del creaturale, e dunque, l'idea di possedere un presunto sapere su Dio, ci pone inevitabilmente davanti ad un aut-aut: o si riduce Dio ad un possibile ente o si rinuncia al sapere.

"La parola "Dio" ha un senso corretto, riesce cioè a indicare l'Assoluto, solo in  quanto si limita a indicare il Bene al di sopra dell'essere, la luce eterna che su tutto risplende, in modo assolutamente impersonale, indeterminato, in-distinto" [74] .

Il nulla avere, che è l'ultima delle tre negazioni eckhartiane, rappresenta il centro gravitazionale della speculazione del mistico e concerne l'assoluta povertà dello spirito, ovvero la distruzione dell'io per lasciare operare Dio. Il termine che meglio esprime questo concetto è l'espressione " pati divina" , espressione che ricorre già in Dionigi,  e che in Eckhart sta ad indicare la completa recettività dell'anima cifra essenziale della sua speculazione: 

"La pura e nuda apertura all'eterno, senza presenza dell'egoità, la recettività come modalità dell'essere [...]" [75] .

In questa prospettiva l'uomo non ha più nulla di propriamente accidentale, la distruzione del proprio io annulla altresì tutto ciò che è natura creata, l'anima torna al suo essere essenziale.

Allo stesso modo appare chiaro che, in tale dimensione, non possono sussistere il volere, il sapere o l'avere, perchè sono tutti termini che rimandano alla distinzione e all'essere della creatura, mentre la soppressione dell' autoaffermazione del soggetto rimanda invece ad una diversa concezione della vita in cui tutto appare come fonte di gioia.  Questa è la morte mistica che può altresì essere definita come una duplice nascita:

"da parte di Dio in noi e di noi in Dio, tanto che ci possiamo dire reciprocamente figlio e padre" [76] .

Si può quindi affermare che al di là della credenza, che per il nostro autore ha ben poco a che fare con l'insegnamento cristiano, sussiste una verità interiore che non è rintracciabile in alcun documento scritto, poichè non è qualcosa di cristallizzato, ma bensì Parola viva e presente nella coscienza del singolo.

Scrittura e autorità, ripete ancora Vannini, possono avere un valore propedeutico, preparano l'anima alla conversione, ma non è il libro che converte, bensì la retta ragione che comprende che una verità eterna va al di là della storicità che muta.

La Bibbia, dunque, può essere una sorta di nobile strumento che permette un primo gradino dell'ascesa ma rimane solo l'inizio di un lungo percorso, un punto di passaggio, come sostiene ancora Vannini "affinché, dal confronto con l'oggettività superstiziosa del sacro, la ragione si elevi a spirito[...]" [77] .

Ora, è importante rilevare che quando Vannini definisce la Scrittura  mitologia il suo pensiero volge a questa concezione di fede, ovvero quella che si declina in futile superstizione, là dove, quindi, la Scrittura presenta credenze inaccettabili ad ogni comune ragionevolezza, perchè per Vannini il cristianesimo è la religione del Logos, tolto quest'ultimo la fede rischia di divenire mera idolatria . Invero, come ha affermato Roberta De Monticelli, "in qualche modo, non di credenti ha bisogno Iddio, ma di pensanti" [78] .

La verità della religione non può quindi fondarsi su ciò che è scritto, e questo non solo perchè nella Bibbia vi sono evidenti incongruenze storiche che minano inevitabilmente il concetto di verità, ma soprattutto perchè non è possibile atrofizzare in un libro ciò che per natura è spirito. 

Lo spirito è l'Assoluto che è Dio e non si lascia né catturare, né determinare, nel cercare di farlo, come di fatto accade nella Scrittura, si rischia sempre di incorrere in una contraddizione logica perchè tutto ciò che è prodotto della storicità può essere solo cifra dell'Assoluto ma non potrà mai esaurirlo. Ecco perchè ogni pensiero dogmatico si pone in antitesi con la nascita dello spirito e non permette l'interiorizzazione della Parola condannandola, così, a permanere solo sterile scrittura.

CAPITOLO TERZO

MISTICA E CRISI RELIGIOSA CONTEMPORANEA

1. Riscoprire le radici platoniche del cristianesimo

E' ancora possibile parlare di spirito religioso nell'uomo contemporaneo?

"Opinione di chi scrive è innanzitutto che la malattia morale, il disagio psicologico delle nostre società dipendano dalla fine della religione. [...] In secondo luogo, che la fine della religione sia, al di là della sua sopravvivenza come mero carattere consolatorio, inevitabile in quanto essa non è più religione vera [...]. In terzo e fondamentale luogo, che si possa e si debba riscoprire nella mistica l'essenza del cristianesimo" [79] .

Se da una parte, dunque, la modernità decreta la fine del religioso, dall'altra ne esige l'inveramento. La modernità introduce il tempo degli interrogativi inevasi che ricercano una verità che superi le concezioni dogmatiche, le Chiese e le diverse religioni confessionali. Sembra davvero essere subentrato uno iato insanabile fra la domanda religiosa e i sistemi che intendono fornire delle risposte [80] , eppure si avverte un’istanza impreteribile, "sotto il profilo esperienziale, di ricerca della pace, di quella gioia, laetitia , che è, spinozianamente, segno di perfezione, e perciò sotto questo medesimo profilo, qualcosa cui ogni uomo dal profondo di se stesso aspira" [81] .

Non è difficile individuare quale sia il male morale che affligge l'uomo moderno: senso di smarrimento e incapacità di comprendere che al di là dell'oggettività della contingenza sussiste una realtà essenziale, una realtà che non può essere trovata in alcun luogo se non dentro se stessi:

"Quando la si è scoperta, sia pure per un attimo, tutta l'esteriorità - il mondo che è oggetto delle potenze dell'anima - ci appare di assai poco valore, in confronto alla verità scoperta" [82] .

Ma questa verità appare chiara solo quando ci si comprende come spirito, ovvero nell'esperienza di unità con Dio, là dove l'uomo non ha davvero più nulla da chiedere, là dove la Parola si genera spontaneamente e la sua luce tutto illumina. Il cammino da percorrere è però insidioso e difficile, anche perchè la nozione di spirito sembra essere obliata e dunque incomprensibile. All'uomo moderno è toccato in sorte il tempo dell’incertezza, dell’ insecuritas , un tempo in cui l'assenza di Dio è più forte della sua presenza, e, tuttavia, è proprio attraverso questa assenza che l'uomo può riuscire finalmente a comprenderlo come amore infinito:

"L'assenza di Dio è la testimonianza più meravigliosa di amore perfetto . Per questo la pura necessità chiaramente differente dal bene, è tanto bella" [83] .

Vannini cita una bellissima frase di Simone Weil che concerne il cuore della mistica cristiana, dove il distacco non è la semplice negazione dell'essere delle cose, ma è soprattutto un vedere quelle stesse cose con occhi diversi, ovvero con gli stessi occhi dell'amore infinito di Dio che è finalmente in noi. Dio stesso si apre a questa unione  d’amore, un amore scevro da ogni fine perchè è esperienza stessa della luce eterna, non come promessa futura, ma come esperienza della grazia nel presente della vita.

Questo è ciò che contraddistingue la mistica cristiana, ovvero l'azione congiunta di amore e intelligenza: movimento che porta ad amare tutto e nulla perchè opera il distacco e proietta l'uomo verso la Trascendenza pur lasciandolo permanere nell'immanenza:

"Insieme, profondamente uniti fino a fare un'unica operazione, questa intelligenza e questo amore sono lo spirito, che è, dunque, assolutamente umano, anzi costitutivo essenziale dell' uomo" [84] .

La mistica cristiana non pone l'uomo separato dal mondo, la morte dell'anima sancisce solo la fine della volontà personale, del nostro piccolo ego, ma pone altresì il nostro essere in una spontanea dimensione di grazia dove il bene sgorga naturalmente senza più alcun perchè ( ohne warum ) lasciando che l'esperienza dello spirito si declini nella vita presente:

"La fine della volontà è infatti fine della servitù al soggetto psicologico ed ai moventi piccoli, utilitaristici, egoistici, del suo agire" [85] .

Sotto questo profilo il distacco della mistica cristiana si differenzia dall'ascetismo delle dottrine orientali e lo fa in virtù di questa dialettica, ovvero del movimento che cerca l'infinito sciogliendo i legami ma che allo stesso tempo produce il senso della vita nel mondo. Allo stesso modo, il Nulla del mistico non può quindi essere tradotto come sofferenza di vivere nel presente: al contrario, al pensiero mistico è sottesa sempre la gioia e l'amore per la vita perchè questo Nulla trapassa continuamente nell'essere traducendosi nella gioia di vivere l'eterno presente:

"L'esito è la certezza della divinità nell'uomo e dell'uomo: non un nichilismo appena temperato da un amore-pietà per le creature, ma la gioia infinita del gioco eternamente giocato nell'essere" [86] .

Ciò accade perchè il distacco della mistica non si irrigidisce nella fuga dal finito, ma padroneggia sempre la contraddizione senza arrestarsi all'abisso del negativo, e dunque coglie la positività, il bene.

Sotto questo profilo, Vannini afferma che:

"nessun dolore affligge chi ha rinunciato a se stesso: egli accoglie con uguale animo il bene e il male, amandoli entrambi allo stesso modo - anche se il bene in quanto bene, il male in quanto male" [87] .

Lungi tuttavia dall'essere mera rassegnazione, o accettazione passiva della vita, o negazione del male, qui si tratta invece di saper cogliere il senso del positivo nel negativo, dell'infinito nell'attimo presente, perchè siamo in costante comunione con Dio e ogni nostro agire esplica il divino stesso autodeterminandosi:

"Questa è la coscienza dell'unità della natura divina ed umana, e tale conoscenza deve arrivare all'uomo in modo da essere reale, empiricamente generale, universale, non in astrazione, ma in un uomo determinato[...]" [88] .

In ogni coscienza umana Dio si manifesta come cifra, vive e si genera nello spirito di ogni individuo pur continuando a permanere Uno, ma in questo Uno è altresì compresa la molteplicità degli esseri.

Nella fine del dualismo la soggettività si fonde con l'oggettività formando un’unica identità che è spirito, ma questa unità si può comprendere solo nella dimensione spirituale, superando la distinzione e andando anche oltre ogni dottrina teologica, risalendo quindi all'essenzialità del messaggio di Cristo, che è amore incondizionato: un amore che si può definire come fede finalmente compresa perchè diviene esperienza della vita di Dio-Spirito in ogni uomo:

"Su questo terreno il precetto cristiano dell'amore assume una nuova veste" [89] .

Questo amore pervade l'anima dopo la morte mistica ed è puro spirito, non un atto dell'anima, che privata delle sue facoltà è diventata solo un ricettacolo vuoto e pronto a ricevere, ma la sua realtà più profonda, ovvero Dio stesso, che è amore nella sua forma più perfetta, quell'amore che si alimenta d'amore, che non chiede ne vuole nulla in cambio perchè ama senza più un perchè :

"Perciò il linguaggio della morte diventa un linguaggio della vita, della gioia" [90] .

Questo concetto essenziale non solo fa della mistica cristiana un unicum , ma è anche ciò che rivela la sua profonda consonanza con il platonismo. La morte dell'anima implica infatti il ritorno all'Uno, ovvero a quella condizione in cui l'anima era puro spirito e quindi parte stessa della natura divina. In questo percorso di ascesa, più è forte la consapevolezza di ciò che ci vincola al sensibile in quanto creature, e più ci si libera dalle facoltà desiderative dell' anima avvicinandosi alla meta, è infatti la comprensione dell'essere finito di ogni creatura che permette di giungere alla contemplazione del Bene e di assaporarne la bellezza infinita.

Allo stesso modo possiamo dire che nell'unità l'anima è ormai diventata spirito e vede le cose con gli stessi occhi di Dio, scorge il fluire in esse di quella stessa grazia e bellezza, e allora sente di amarle tutte pur essendo consapevole che esse non sono il Bene ma gli effetti che esso genera:

"Conoscere Dio attraverso le creature è impresa votata al fallimento, giacché non si riesce a conoscere la causa dagli effetti, dalle tracce. Ma nell'unione l'anima conosce le creature attraverso Dio, ossia gli effetti dalla loro causa" [91] .

Si devono ora sottolineare due punti molto importanti. Il primo punto concerne il conoscere l'essenza di Dio. Questo tipo di conoscenza non può rientrare nell'ambito dell'oggettività perchè nell'unione spirituale non si ha conoscenza di Dio come altro da se stessi, dunque, non può sussistere alcuna appropriazione di un sapere da parte di alcuna teologia. Allo stesso modo possiamo affermare che l'unione è un percorso d'ascesa, quindi un cammino verso l'intelligibile che permane nello spazio della Trascendenza. Anche sotto questo profilo è pertanto inevitabile trarre una sola conclusione, ovvero che ogni sapere sistematico e dottrinale su Dio, che di fatto è un prodotto finito della storicità, si rivela quello che è in realtà, cioè qualcosa di infinitamente lontano da ciò che non può rientrare in ambito del finito.

Il secondo punto concerne la declinazione di questa conoscenza di cui parla Vannini, ovvero una comprensione più autentica della realtà finita perchè nell'unità spirituale

il finito viene ad essere visto come tale ma viene altresì ad essere compreso come manifestazione del Bene, dunque bene esso stesso, pertanto nella finitezza si ama la manifestazione del Bene trascendente che è vivo e presente in ogni cosa.

Ora, è certo lecito domandarsi quanto questa riflessione, che mostra tratti esplicitamente filosofici, sia in realtà inscindibile dall' ambito della religione cristiana. 

A ciò risponde Vannini, e lo fa attraverso il pensiero di Giovanni della Croce, mistico cristiano del Cinquecento, evincendone quei tratti che sono sì derivanti direttamente dal neoplatonismo, ma specificatamente cristiani:

"Essi, infatti, sono riconducibili essenzialmente all'aspetto trinitario della mistica sanjuanista, per cui l'uomo sta in quel rapporto d'amore con Dio che è movimento stesso dello Spirito . La teologia trinitaria, e dunque il concetto cristiano di Dio uno e trino ( un concetto assolutamente dialettico, che oppone il cristianesimo a ebraismo e islamismo), deriva dall'esperienza dello spirito - dunque dalla filosofia antica - e, insieme, la descrive mirabilmente" [92] .

Nel ritorno all'Uno, o a Dio, perchè in questo caso è lo stesso, l'anima sperimenta l'unione che il mistico castigliano definisce "estasi cosmica" , in cui il tutto torna ad essere parte dell'Uno e non intercorre più alcuna distinzione tra il creato e il Creatore.  Questo movimento liberatorio è scandito da tre momenti che formano un unico atto: permanenza-uscita-ritorno .

La permanenza è il Padre, l'eterno immutabile, infinitamente trascendente al di sopra di ogni possibile concetto pensato:

"luce che è sempre, eterna (il Padre), ovvero non da noi prodotta, non dipendente dal nostro accidentale modo di essere [...]" [93] .

L'uscita è il Figlio, è l'eterno che trapassa nell'umano, è la realtà finita che porta in seno l'infinito come effondersi nel cosmo intero di quella stessa luce eterna e immutabile:

"realtà tutta umana, qui ed ora presente proprio se passa per la finitezza [...]" [94] .

Il ritorno è lo Spirito, movimento costituito da amore e intelligenza, da quell'amore che si comprende finalmente come stessa luce eterna , ed è appagato dal solo amare:

"ed è movimento e vita, rapporto continuo d'amore (lo Spirito). Questo si comprende se si comprende l'identità profonda dei tre elementi, che non sono affatto tre enti, o , persone, o cose- tutto ciò da adito tanto assurdo quanto incomprensibile- bensì esprimono i tre momenti della vita dello spirito, che è amore tanto quanto intelletto" [95] .

Ecco perchè il pensiero del mistico castigliano non può essere scisso dal tessuto cristiano, ma allo stesso modo neppure dal tessuto filosofico. Nella sua speculazione filosofia e religione si intersecano fino quasi a sovrapporsi, Dio come Uno e Trino si rivela all'uomo come movimento stesso dello spirito, e tale rivelazione non si conquista certo attraverso un sapere ma facendo il vuoto, creando l'assenza di ogni sapere, solo così essa giunge gratuitamente, come dono, senza sforzo alcuno.

"Il cammino all'Uno è infatti il cammino a Dio; non un idolo antropomorfico, ma il Dio senza determinazioni, deus sine modis, pura luce e spirito" [96] .

Queste sono le radici platoniche del cristianesimo che devono essere riscoperte. La modernità ha già distinto la superstizione dalla religione, le resta un ulteriore compito che concerne l'inveramento del religioso, perchè questo cristianesimo è di fatto alla fine:

"alla fine in quanto religione tradizionale, per l'insostenibilità della mitologia biblica che si porta dietro, ma all'inizio in quanto religione vera perchè vera filosofia. Anzi, sotto questo profilo non v' è dubbio che la stessa onestà che rigetta le mitologie faciliti il riconoscimento dell'essenza razionale, spirituale, del cristianesimo stesso" [97]. 

2. Dio come luce presente nell'anima

Alla modernità non è dunque possibile attribuire un significato univoco, perchè non è definibile semplicemente come tempo in cui persiste l'assenza del religioso, e può quindi rappresentare il tempo maturo per rivelarne nuovamente l'autenticità.

La modernità può rappresentare una svolta, può essere davvero quel terreno su cui viene ad essere fecondata l'idea dell'universalismo del religioso: un religioso diverso, che non chiede più definizioni, rappresentazioni o simboli, ma che persiste e vive come spirito ineffabile e indicibile.

E' implicito che l'orientamento fondamentale riguarda quella dimensione spirituale presente in ogni essere umano, che non è mero soggettivismo, ma piuttosto l'acquisizione della profonda consapevolezza che il religioso persiste come struttura costitutiva della coscienza umana, al di là dunque di  una fede o di un credo.

Riscoprire quindi il religioso attraverso uno sguardo diverso, uno sguardo che ricerca lo spazio della Trascendenza, che supera i confessionalismi, uno sguardo che appartiene alla mistica, perchè è lo sguardo dello spirito.

Attraverso la mistica è possibile recuperare questo profondo significato del religioso declinandolo nell’esperienza spirituale che si esprime attraverso quel tipo di linguaggio che oggi, purtroppo, risulta quasi incomprensibile.

"Il linguaggio spirituale, pur nella sua semplicità, è incomprensibile alla nostra cultura, ove predomina una psicologia tutta a servizio dell' ego , tutta all'interno dello psichismo, senza esperienza dello spirito, una vera e propria psicolatrìa" [98]

Vannini sottolinea quanto la modernità abbia inteso in modo errato il termine spirito ponendolo così nell'ambito della psicologia, di quella scienza che oggi si pone come vera e propria cura dell'anima, che intenderebbe far conoscere all'uomo la sua parte più recondita ignorando tuttavia lo stesso principio primo che ne costituisce l'essenza (quasi come se anima e spirito potessero essere due settori separati).

La psicologia in realtà resta una scienza inutile, perchè cura ciò che permane nella mutevolezza del fattuale, è incapace di conoscere la parte essenziale del nostro essere, lo stesso linguaggio che concerne lo psicologico muove in direzione diametralmente opposta rispetto al linguaggio spirituale della mistica:

"«La pura luce dell'anima è in se stessa», non la «persona» o la «personalità»- espressioni che suonano sempre banali e retoriche-: questo il messaggio ormai «inaudito» nella nostra cultura che la mistica cerca di trasmettere" [99] .

Quindi è chiaro che né la persona, né la personalità, possono in alcun modo porsi come ciò che costituisce l'uomo,  anzi,  tali concetti, si presentano come ostacolo nel percorso della conoscenza di noi stessi in quanto spirito. 

D'altra parte la stessa etimologia del termine "persona", che rimanda al termine "maschera", dovrebbe far riflettere sull'idea che, essendo esseri contestualizzati nel sociale, siamo sempre chiamati a recitare un proprio ruolo all'interno della società, in cui spesso l'uomo si distingue solo per la volontà di autoaffermazione, senza mai soffermarsi a riflettere su chi sia veramente, cercando di rimuovere tutto ciò che concerne il suo autentico essere.

La conseguenza di questo vivere inautentico ha determinato la scomparsa della dimensione spirituale e approda a un concetto riduzionistico dell'essere umano secondo due possibili alternative: l'uomo come prodotto dell'evoluzione naturale, o l'uomo come creatura che dipende da regole divine.

In entrambi i casi non stupisce che l'essere umano si ritrovi inerme e completamente smarrito nell'incertezza.

Ne consegue che venga a mancare un senso profondo del vivere, e da qui scaturisce e si afferma il culto dell'effimero, del fugace, del provvisorio. Così l'interrogativo sul senso non solo rimane inevaso, ma spesso si declina nella domanda sull'esistenza o meno di Dio, da cui si vorrebbe un segno tangibile, eppure non è difficile comprendere che ciò non ha senso:

"Davvero sciocco è l'interrogarsi sull'esistenza o no di Dio come se si trattasse di un oggetto esterno, con l'alternativo esito del sì o del no, della fede che va e viene con la mutevolezza dei pensieri: questo è un modo di procedere banale, frutto dell' ego appropriativo, e dell'alienazione che lo segue come un ombra" [100] .

E’ la domanda che porta in sé l'errore: non ha senso interrogarsi sull'esistenza di Dio, perchè è sulla nostra esistenza che deve vertere la domanda: là dove si procede ponendo Dio come oggetto di conoscenza è già implicita la sua negazione, perchè lo si rende ente finito, e quindi negarlo o asserirlo, a questo punto, non fa alcuna differenza. In entrambi i casi viene ad essere confuso il frutto di un pensiero umano con l'Assoluto in sé e per sé, che di fatto permane inconoscibile, ma che è esperibile. In altri termini possiamo dire che l'alterità uomo-Dio rimanda inevitabilmente ad una sorta di ateismo diverso ma che si configura sempre  come negazione dello spirito.

Pensare Dio implica già un contenuto dato da una determinazione psicologica mentre l'esperire Dio pone l'uomo in condizione di unità:

"Scomparso l'io, giunge infatti l'universale, lo spirituale- Dio, appunto, se così vogliamo dire." [101]

Ciò che sottende al pensiero di Vannini è ancora il concetto eckhartiano e hegeliano di fede, una fede intesa come vita dello spirito, identificabile come esperienza della luce. Non può dunque sussistere un Dio diverso per ogni fede, ma semplicemente un solo Dio-Spirito per ogni fede diversa:

"un Dio infinito, distinto dalla sua indistinzione, non opposto al cosmo e all'uomo, ma che in esso si manifesta" [102]

In questo semplice messaggio è racchiusa la sintesi perfetta tra il pensiero religioso e quello filosofico, là dove la filosofia deve essere intesa come saggezza, come l'inizio di quel tipo di sapienza che non comporta alcuna esclusività conoscitiva, bensì comprensione di noi stessi e di Dio in noi.

Tutto ciò, come si è già detto, si declina in una più ampia visione del mondo che proietta l'uomo al di là dell'ottica utilitaristica che domina il pensiero moderno; perchè è di fatto un nuovo uomo quello che sta vivendo nell'essere stesso. Questa esperienza spirituale si diparte sempre dalla fede in Dio, ma un Dio impersonale, che appunto non può avere altro nome se non quello di Luce, Bene e Amore: ogni altra definizione è pertanto illusoria e alienante, non concerne lo spirito ma una proiezione della fragilità umana.

Tipicamente umano è infatti rivolgersi a Dio per chiedere giustificazione della sofferenza, quasi come se Dio volesse il male del mondo, dimenticandosi però che il male è un prodotto umano e non divino; che il male è sempre frutto dell'egoità personale, dell'appropriatività e della volontà di potenza che è insita nella natura umana.

L'idea stessa di possedere la verità su Dio è il vero male, è il frutto di un monoteismo violento che intende affermare il proprio Dio come unica verità, non si può avere l'esclusiva sulla Rivelazione, questa è la vera blasfemia dell'uomo:

"L'unicità di Dio - ovviamente il nostro - esprime l'esclusività della Eigenschaft, mentre il cosiddetto politeismo riconosceva all'altro uguale dignità, riconoscendo la validità dei suoi dei" [103] .

Ciò che intende far comprendere il nostro autore è che il peccato più grave è l'idolatria di Dio inteso come ente, che possa quindi essere definito in un certo modo piuttosto che in un altro, che si riveli ad un popolo piuttosto che ad un altro. Questa idea è frutto di quella concezione personale di Dio che pertanto resta legata alla finitezza del pensiero umano. Ecco perchè nessuna teologia può appropriarsi della prerogativa della verità, perchè anche in questo caso si confonde un contenuto finito con ciò che di fatto è infinito riducendo la fede alla sola esteriorità, ovvero ad una banale pratica di riti.

Si agisce così nella convinzione che questi possano in qualche modo salvare, senza riflettere che tutto ciò rimanda al simbolismo e alla rappresentazione ma non certo alla vita dello spirito cristiano. Sotto questo profilo ci si trova dinnanzi ad una ingenua credenza, che peraltro è sempre rivolta ad un fine, sembra chiaro che in questo contesto il rapporto con Dio non è affatto caratterizzato da quell'amore infinito e senza perchè che distingue la mistica, ma piuttosto da un rapporto di reciproco scambio che implica un movente estrinseco all'azione. Questo tipo di fede è ciò che rappresenta l'ostacolo principale per la vera esperienza spirituale, perchè ci fa permanere nell'ambito dello psichismo. E’ infatti la volontà personale e l'egoità che chiede la salvezza eterna in cambio della devozione ad un culto, ma in questo caso è implicito che sussista ancora l'attaccamento a se stessi e non invece quel vuoto in cui Dio stesso opera.

Il Dio pensato pertanto impedisce la nascita della Parola nel fondo dell'anima, mentre la morte mistica, che presuppone invece un totale abbandono e un completo affidamento, è ciò che ne permette la generazione:

"l'esperienza religiosa vera conosce - non crede - il Cristo, in quanto logos interiore, luce presente nell'anima, ossia in quanto spirito, e non va perciò alla ricerca di conferme esteriori" [104] .

Da sempre ogni teologia implica quell'aut-aut che pone il vero e il falso, e quindi rimanda inevitabilmente alla distinzione fra fede autentica e fede inautentica, ma a questo punto sorge spontanea una domanda: chi decide quale credo è verità o menzogna?

Il timore è che alla fine la verità sia quella che concerne la propria razza, le proprie tradizioni e il proprio popolo. La stessa Scrittura è pregna di questo sguardo, ed è inutile negare ciò che nel Testo appare evidente. Tuttavia qui non si vuole né criticare, né contestare un certo credo, semplicemente far notare che è sempre il nostro Dio ad avere la prerogativa del vero rispetto al Dio degli altri , ed è impossibile negare che in questo caso ogni giudizio permane legato all'immanenza, ovvero al finito, ed è altrettanto innegabile che sia proprio questo a dividere le fedi.

Ma il risultato più paradossale di questo tipo di fede consiste nell'aver distorto completamente quel messaggio spirituale che intendeva unire e che ora di fatto separa.

Questo è ciò che intende quindi mettere in luce Vannini, ovvero quanto assurda sia la pretesa di possedere una verità assoluta su Dio, una verità che di fatto non potrà mai essere posseduta da alcuna teologia, ma che invece potrà essere vissuta da tutti gli uomini indipendentemente dalla confessione a cui essi appartengono.

Il nostro autore sottolinea inoltre quanto, sotto questo aspetto, la mistica svolga davvero un ruolo determinante, perchè nella dimensione dello spirito viene ad essere annullata ogni possibile distinzione, ed è quindi implicito che Dio non si possa trovare in una chiesa piuttosto che in un altra, bensì che si manifesti costantemente come cifra in ogni cosa senza mai esaurirsi in alcuna di esse.

Questo non comporta  affatto che venga ad essere eliminata l'unica Verità, né tantomeno che venga ad essere annullata la sua natura eterna, al contrario, essa, permanendo immutabile e indicibile, non potrà mai diventare prerogativa di un certo sapere teologico. Allo stesso modo l'idea di Dio in ogni cosa non cade affatto nel panteismo perchè nella mistica sussiste la comprensione della realtà come Bene e al contempo la consapevolezza dell' infinita distanza che intercorre tra essa e la natura trascendente del Bene. 

"Non si tratta dunque di panteismo: il panteismo è adialettico: fa del cosmo il divino, dimenticando il versante della negazione-ha il totus intus, ma non il totus foris , ossia dimentica l'insegnamento di Platone: quello della superiorità del bene rispetto all'essere, e della distanza infinita tra necessario e bene" [105] 

Per questo motivo l'esperienza mistica e l'esperienza filosofica non potranno mai essere scisse e riscoprire il religioso attraverso la mistica implica riscoprire il pensiero filosofico antico .

3. Annullare ogni distinzione

La religiosità autentica si rivela solo attraverso l'esperienza dello spirito, in cui sorge quella profonda consapevolezza, del tutto  interiore, che la natura umana e quella divina non sono scisse bensì unite. Comprendere tale coincidenza non è facile, è necessaria una speculazione filosofica che si intersechi con una profonda esperienza della religiosità:

"Infatti vera religione e vera filosofia coincidono, perchè identico è il loro cammino e il loro risultato. Liberandosi dal molteplice, dal sensibile, e quindi- insieme- dal peso delle opinioni, dalle rappresentazioni( phantàsmata ) e dai legami alle cose e a se stessi, si scopre al proprio interno la verità, che non è una serie di proposizioni vere, ma una luce" [106]

Sotto questo punto di vista non meraviglia che la mistica e la filosofia minino la lettera oltrepassando il rigido dogmatismo, andando al di là, quindi, delle proposizioni scritte che atrofizzano lo spirito. Il religioso ha natura universalizzante e non può appartenere ad un unica Chiesa perchè l'universalità travalica ogni storicità.

"L'idea del « libro sacro » è intrinseca a una religione sociale per la quale v'è bisogno esplicitamente di qualcosa di de-finito che stabilisca appunto la relazione di appartenenza, ma risulta inconciliabile con il cristianesimo, che non ha una relazione di appartenenza etnica, razziale, né politica, ma solo spirituale, ed è dunque incapace costitutivamente di stare nei limiti determinati di un libro, di una dottrina, di una teologia, di un codice di comportamento, ecc." [107] .

L'essenza del cristianesimo non è quindi di natura dogmatica, semmai, al contrario, essa è libera ricerca della Verità, possiamo anche definirla ricerca di Dio, ma si deve intendere un Dio sine modis , che non è determinabile, che non si esaurisce in nessuna fede perchè ne è movimento stesso.

Per questo motivo il nostro autore sottolinea che è la concezione del Dio biblico che impedisce la vita dello spirito, ovvero quella concezione che pone l'uomo nell'alienazione, che rimanda sempre ad un io che inevitabilmente si declina in un proprio , e ad un tu che altrettanto inevitabilmente si declina in un altrui .

L'idea di Vannini è che, se si permane nell'ambito della lettera tale distinzione è inevitabile, questo perchè di fatto sussiste la separatezza, se vogliamo la distinzione.

Tale distinzione,  proiettata nella dimensione spirituale inevitabilmente si dissolve, così come si dissolve ogni determinato, ed è sotto tale profilo che il nostro autore sostiene che:

"parlare di « Dio educatore, disegni divini, progetti di Dio », è atroce plaisanterie " [108] ,

ovvero un'atroce sciocchezza. Pressappoco in questo modo potrebbero essere tradotte le parole francesi che appartengono al pensiero di Simone Weil. In verità queste proposizioni appaiono di natura sostanzialmente materialistica, declinabili nella concretezza del sensibile che poco ha a che fare con la vita dello spirito. Atrettanto un atroce sciocchezza risulta essere l'idea di popolo eletto perchè anche in questo caso ci si ritrova separati dagli altri e ritorna irrimediabilmente quel proprio e quell' altrui che costantemente dividono. L'errore è :

"l'Eigenschaft portata al massimo, e di qui anche il destino tragico del popolo ebraico: la separatezza che si porta dietro come un fardello ineliminabile- separatezza dagli altri, ma prima di tutto separatezza dall'essere, lontananza dello spirito" [109] .

Sotto questo aspetto, la Rivelazione perde la sua universalità e, al contrario, appare come esclusività di un solo popolo, e poco importa che sia questo o un  altro popolo ad appropriarsene.

Lo stesso vale per il concetto di profezia, perchè anche questo rimanda a un Dio che opera nel tempo, che fa e disfa, che dà ad alcuni e non ad altri:

"Qui è evidente come non mai la presunzione appropriativa, la volontà di essere, potere, del singolo, o del gruppo, o del popolo, e la Bibbia si mostra per quello che è: testo nato per difendere l'egemonia di un popolo. Precisamente l'opposto dello spirituale è la combinazione profezia- messianesimo- escatologia: essa è infatti la più radicale negazione dell'assolutezza del presente e quella fuga alienante che genera il progressismo- l'idea stupida ed atea per eccellenza, come notava giustamente Simone Weil" [110] .

L'alienazione dell'esperienza religiosa nel mondo moderno rischia davvero di diventare soggettivismo: l'uomo non si riconosce più nelle istituzioni ecclesiastiche, non sono le liturgie o i sacramenti a fare dell'uomo un buon cristiano.

Cristianesimo è soprattutto interiorizzazione del divino, comprensione che esso persiste come cifra in ogni uomo, in tutto il cosmo. Cristianesimo si deve tradurre come una diversa visione del mondo: non come mera materia, ma come dimensione stessa dello spirito:

"Verità infatti è guardare onestamente i miti, le rappresentazioni, comprendendone origini e significati e, insieme, superandoli, andando così verso l'uomo interiore, verso la regione dell'eterno, dello spirito" [111] .

La mistica può essere l'alternativa al cristianesimo dogmatico, la vera ricerca religiosa, che è possibile solo nell'ambito della libertà, di quella libertà che sorge solo quando muore l'egoità dell'io, quando subentra l'unità con la grazia che è amore. In tal senso ha ragione la Weil:  si ama solo ciò che si conosce e non ciò a cui si deve obbedire:  

"In questo senso bisogna fare « guerre di religione »: non con la violenza o con le confutazioni ipocrite, di stile pascaliano, ma togliendo via radicalmente le menzogne e ritrovando la chiarezza, la limpidezza dell'intelligenza, ovvero quello spirito davvero religioso e quell'onestà che, soli, rendono capaci di comprendere come ogni parola umana umana si possa dire anche parola divina e nessuna possa esser presentata come tale" [112] .

Questa è l'essenza del religioso e del cristianesimo stesso, perchè la parola di Dio è universale e avviene mediante la natura di tutte le cose, non in qualcuna sì e in altre no, perchè la sua luce si distende dilatandosi su tutto senza tuttavia appartenere a nessuno. Questo è il cristianesimo altro di cui parlava Simone Weil, e questo è il cristianesimo caro a Vannini:

"Sembra quindi legittimo sperare che questo stesso platonico e cristiano amore di verità porti verso un cristianesimo altro , cioè vero . Non ha forse detto Gesù « Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce » ?" [113] .

  APPENDICE

TRE DOMANDE RIVOLTE A
MARCO VANNINI

 1) Lei mostra quanto le radici del cristianesimo siano di natura platonica, e quanto il cristianesimo contemporaneo lo abbia di fatto dimenticato: a quali condizioni è possibile oggi riscoprire il significato della filosofia nella sua accezione più forte,  intesa come conversione di tutto l'essere verso il bene?

Il cristianesimo ha preso le distanze non solo dal platonismo, che lo fecondò agli inizi, ma anche dalla filosofia, se intesa nel suo senso forte di “esercizio di morte” - un senso che non è solo platonico, ma la percorre tutta, fino ad Hegel. Questo equivale a dire che ha perduto la fede nell' Assoluto e vi ha sostituito una credenza religiosa - ma la fede non è una credenza, bensì il suo contrario: come insegna san Giovanni della Croce, la fede è precisamente ciò che distrugge tutte le credenze e conduce al nulla, ovvero all'estinzione dell' egoità, a quella rinuncia a se stesso che è l'essenza del cristianesimo e, insieme, l' apertura al Bene.

In questo medesimo senso destino della filosofia e destino del cristianesimo sono strettamente uniti. Lo vide bene Marìa Zambrano, quando parlava della coincidente fine del platonismo, della mistica, della filosofia, in una sorta di agonia del cristianesimo.

Credo che il significato della filosofia nella sua accezione profonda si trovi soltanto quando si scopre il significato autentico della fede. Come diceva un'altra grande figura di donna del nostro tempo, Simone Weil, noi non abbiamo la possibilità di cogliere l'Assoluto, ma abbiamo quella di non accordare il consenso al relativo - e questo è precisamente il pensare. 

2) Lei ha spesso sottolineato che la mistica non può essere scissa dal tessuto cristiano perchè senza la concezione trinitaria di Dio non avrebbe alcun senso parlare di identità umano-divino: può spiegarci quale rapporto sussiste tra l'Incarnazione e la generazione del Logos divino nel fondo dell'anima?

Che la mistica sia intrinsecamente cristiana e il cristianesimo religione mistica per eccellenza non ci sono dubbi, se è vero come è vero che mistica significa essenzialmente il concetto e l'esperienza dell'unione umano-divina, o come diceva Cusano, il toglimento di ogni alterità. D'altra parte,  il cristianesimo è la religione di Cristo vero Dio e vero uomo, dunque dell' unione umano-divina, in perfetta opposizione all'ebraismo e all' islamismo, che, difatti, considerano bestemmia questo concetto.

Si comprende la Incarnazione nel suo rapporto con la generazione del Verbo/Figlio nel fondo dell'anima, quando la si vede non come evento mitico, frutto di un altrettanto mitico piano di Dio, disegno divino, ecc., ma quando  in noi stessi, in interiore homine, si compie l'opera buona, nel pensiero o nell'azione, ovvero l'atto di  amore/distacco.  Allora, in ogni istante, si genera il Figlio, Dio nasce in noi, e in questo senso davvero si incarna. Come scrive il poeta mistico Angelus Silesius,  giustamente definito “versificatore di Eckhart”,

Davvero  è generato ancor oggi il Verbo eterno!

Dove? Qui, dove in te hai perduto te stesso.

3) In uno dei suoi interventi Lei ha detto che oggi "le chiese sono sempre più vuote e le palestre sempre più piene", e che prevale quindi il culto dell'apparire rispetto all'importanza dell'essere: quali sono le istanze che il cristianesimo dovrebbe adottare per far sì che gli uomini possano riattingere un'esperienza autenticamente religiosa?      

Ora il cristianesimo sta attraversando la fase del biblicismo, ossia di una fede tutta credenza, fondata su un testo, supposto rivelazione divina e variamente interpretato per renderlo accettabile. Naturalmente sta perdendo consensi, è ridotto ai minimi termini nelle società occidentali e li guadagna, eventualmente, solo in parti del mondo non toccate dalla cultura scientifica moderna. La sua forza è tutta legata alla suggestione che la religione – qualsiasi religione -  esercita, come ha esercitato ed eserciterà sempre, nel campo emozionale: una cosa che non va disprezzata affatto, beninteso, ma che non ha nulla a che fare con la verità e che perciò esercita, caso mai, solo una funzione consolatoria.

Occorre smetterla con il dualismo scienza-fede, anche se le due cose sono dichiarate in accordo: no, non c'è dualismo, perché la fede è movimento dell'intelligenza verso la verità. “Solamente quando si ha fede si pensa; chi non ha fede non pensa; pensa solamente colui che ha fede”, recita un versetto delle Upanishad”.

Credo che quando il cristianesimo recupererà questa consapevolezza, subito tornerà ad essere esperienza autenticamente religiosa, e, come dicevamo, prima, anche autenticamente filosofica.

  BIBLIOGRAFIA

Opere di Marco Vannini consultate:

Tesi per una riforma religiosa , Le Lettere, Firenze 2006.

Prego Dio che mi liberi da Dio. La religione come verità e come menzogna , Bompiani, Milano 2010.

Dialettica della fede , Le Lettere, Firenze 2011.

Sulla grazia , Le Lettere, Firenze 2009.

Storia della mistica occidentale. Dall'Iliade a Simone Weil , Mondadori, Milano 2010.

La religione della ragione , Bruno Mondadori, Milano 2007.

Mistica e filosofia , Le Lettere, Firenze 2007.

Introduzione alla mistica , Morcelliana, Brescia 2000.

Letteratura critica consultata:

  R. Celada  Ballanti, Pensiero religioso liberale. Lineamenti, figure, prospettive, Morcelliana, Brescia 2009.

  A. Matteo, Della fede dei laici. Il cristianesimo di fronte alla mentalità   postmoderna , Rubbettino, Soveria Mannelli 2001.

  C. Ronchetti, Fede e filosofia. Il pensiero cattolico nell'Italia del dopoguerra, Leonardo, Milano 1995.

www.marcovannini.it, sezione interviste/ sezione interventi

Francesca Nodari, Attualità della mistica, < Città e dintorni > nn. 102-103.

Agnese Galotti, < Individuazione > n. 35, marzo 2001

R. Celada Ballanti, < Humanitas 65 >, 3/2010, pp. 521-524, recensione a M. Vannini, “Prego Dio che mi liberi da Dio”.

Giovanni Reale, < Corriere della sera- Religione >, 14/ 2/ 2010, p. 38.


NOTE:

 [1] Marco Vannini, Introduzione alla mistica, Morcelliana, Brescia 2000, p. 17.

[2] Ivi, p. 7.

[3] Marco Vannini, Prego Dio che mi liberi da Dio. La religione come verità e come menzogna, Bompiani, Milano 2010, p. 8.

[4] Ivi, p. 9.

[5] Ivi, p. 51.

[6] Marco Vannini, La religione della ragione, Bruno Mondadori, Milano 2007, pp. 34-35.

[7] Marco Vannini, Mistica e filosofia, Le Lettere, Firenze 2007, p. 37.

[8] Marco Vannini, Storia della mistica occidentale. Dall'Iliade a Simone Weil, Mondadori, Milano 2010, p. 10.

[9] Marco Vannini, Prego Dio che mi liberi da Dio. La religione come verità e come menzogna, cit., p. 53.

[10] Marco Vannini, Storia della mistica occidentale. Dall'Iliade a Simone Weil, cit., p. 23.

[11] Marco Vannini, Introduzione alla mistica, cit., p. 39.

[12] Ivi, p. 40.

[13] Giovanni Reale, Corriere della sera-Religione , 14 febbraio 2010, p. 38.

[14] Marco Vannini, Storia della mistica occidentale. Dall'Iliade a Simone Weil, cit., p. 338.

[15] Ivi, p. 31.

[16] marcovannini.it/interviste/intervista-a-marco-vannini-individuazione. Di Agnese Galotti, in Individuazione, n.35, marzo 2001.

[17] Marco Vannini, La religione della ragione, cit., p. 8.

[18] Ivi, p. 45.

[19] Ivi, p. 32.

[20] Marco Vannini, Storia della mistica occidentale. Dall'Iliade a Simone Weil, cit., p. 70.

[21] Marco Vannini, La religione della ragione, cit., p. 37.

[22] Marco Vannini, Introduzione alla mistica, cit., p. 53.

[23] Ibidem.

[24] Marco Vannini, Storia della mistica occidentale. Dall' Iliade a Simone Weil, cit., p. 126.

[25] Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, Le Lettere, Firenze 2006, pp. 40-41.

[26] Marco Vannini, Mistica e filosofia, cit., p. 22.

[27] Ivi, p. 23.

[28] Ivi, p. 31.

[29] Marco Vannini, Sulla Grazia, Le Lettere, Firenze 2009, p. 46.

[30] Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, cit., p. 16.

[31] Ivi, p. 55.

[32] Marco Vannini, Sulla grazia, cit., p. 9.

[33] Ivi, p. 20.

[34] Ivi, p. 35.

[35] Ivi, p. 18.

[36] Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, cit., p. 94.

 

[37] Marco Vannini, Prego Dio che mi liberi da Dio. La religione come verità e come menzogna, cit., p. 46.

[38] Ivi, p. 108.

[39] Marco Vannini, Sulla grazia, cit., p. 22.

[40] Ivi, p. 27.

[41] Ivi, p. 28.

[42] Ivi, p.41.

[43] Marco Vannini, Dialettica della fede, Le Lettere, Firenze 2011, p. 11.

[44] Ivi, p. 76.

[45] Marco Vannini, Sulla grazia, cit., p. 9.

[46] Ivi, p. 24.

[47] Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, cit., p. 40.

[48] Ivi, p. 33.

[49] Marco Vannini, Storia della mistica occidentale. Dall 'Iliade a Simone Weil, cit., p. 188.

[50] Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, cit., p. 82.

[51] Ivi, p. 83.

[52] Marco Vannini, Dialettica della fede, cit., p. 35.

[53] Marco Vannini, Prego Dio che mi liberi da Dio. La religione come verità e come menzogna, cit., p. 25.

[54] Marco Vannini, Dialettica della fede, cit., p. 25.

[55] Ivi p. 21.

[56] Marcovannini.it/intervista-a-marco-vannini. Di Francesca Nodari, in Città e dintorni,nn.102-103

[57] Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, cit., p. 67.

[58] Giovanni Reale, Corriere della sera, 14 febbraio 2010, p. 38.

[59] Marco Vannini, Dialettica della fede, cit., p. 63.

[60] Marco Vannini, La religione della ragione, cit., p. 116.

[61] Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, cit., pp. 38-39.

[62] Marco Vannini, Dialettica della fede, cit., p. 80.

[63] Ibidem.

[64] Marco Vannini, Mistica e filosofia, cit., p. 115.

[65] Ivi, p. 118.

[66] Marco Vannini, Dialettica della fede, cit., p. 79.

[67] Ivi, p. 82.

[68] Marco Vannini, Mistica e filosofia, cit., p. 119.

[69] Ivi, p. 129.

[70] Ivi, p. 90.

[71] Marco Vannini, Prego Dio che mi liberi da Dio. La religione come verità e come menzogna, cit., p. 77.

[72] Ivi, p. 78.

[73] Ivi, p. 79.

[74] Ivi, p. 87.

[75] Ivi, p. 94.

[76] Marco Vannini, Mistica e filosofia, cit., p. 103.

[77] Marco Vannini, La religione della ragione, cit., p. 55.

[78] Roberta De Monticelli, Prefazione al testo La religione della ragione , p. 12.

[79] Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, cit. p. 17.

[80] Cfr. in merito, R. Celada Ballanti, Pensiero religioso liberale. Lineamenti, figure, prospettive , Morcelliana, Brescia 2009, Parte Terza.

[81] Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, cit.  p. 24.

[82] Ivi, p. 31.

[83] Marco Vannini, Prego Dio che mi liberi da Dio .La religione come verità e come menzogna, cit., p. 141.

[84] Marco Vannini, Introduzione alla mistica , cit., p. 18.

[85] Ivi, p. 21.

[86] Marco Vannini, Dialettica della fede, cit., p. 37.

[87] Marco Vannini, Sulla Grazia, cit., p. 35.

[88] Marco Vannini, Dialettica della fede, cit., pp. 109-110.

 

[89] Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, cit., p. 48.

[90] Ivi, p. 49.

[91] Marco Vannini, La religione della ragione, cit., p. 103.

[92] Ivi, p.107.

[93] Ivi, p. 108.

[94] Ibidem.

[95] Ibidem.

[96] Ivi, p. 113.

[97] Ivi, p. 3.

[98] Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa,  cit., p. 137.

[99] Ivi, pp. 140- 141

[100] Ivi, p. 149.

[101] Ivi, p. 150.

[102] Ivi, p. 151.

[103] Ivi, p. 153.

[104] Marco Vannini, Prego Dio che mi liberi da Dio. La religione come verità e come menzogna, cit., p. 64.

[105] Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, cit., p. 157.

[106] Marco Vannini, La religione della ragione, cit., p. 57.

[107] Marco Vannini, Tesi per una riforma religiosa, cit., p. 161.

[108] Ibidem

[109] Ivi, p. 164.

[110] Ivi, p. 165.

[111] Ivi, pp. 171-172

[112] Ivi, pp. 172-173

[113] Marco Vannini, Prego Dio che mi liberi da Dio. La religione come verità e come menzogna, cit., p. 186.