Margherita e le anime semplici
di Francesco Roat – L’Adige, lunedì 27 dicembre 2010
La beghina Porete fu messa al rogo dall'Inquisizione nel 1310 per aver scritto un testo mistico.
Margherita Porete, chi era costei? Purtroppo a tutt'oggi non credo molti conoscano l'importanza di questa beghina, autrice del più antico testo mistico della letteratura francese e condannata nel 1310 dall'inquisizione a morire sul rogo quale eretica, solo per aver osato scrivere e diffondere il suo trattato: “ Lo specchio delle anime semplici ”. Va dunque reso il giusto plauso alle edizioni San Paolo, per avere rieditato un libro che merita di comparire in ogni biblioteca. Si tratta infatti della prima versione italiana commentata, con testo medio-francese a fronte. Apre il volume un'acuta analisi storica di Romana Guarnieri. Traduttrice è la trentina Giovanna Fozzer, cui si deve anche un breve ma pregnante capitolo introduttivo di carattere estetico-letterario. Le indispensabili/puntualissime note sono a cura di Marco Vannini , che firma pure un saggio filosofico-teologico sull'opera porettiana. Infine il libro reca in appendice una remota versione in volgare Italiano (ms Riccardiano 14613).
Sulla vita di Margherita con certezza sappiamo ben poco, tranne la sua orribile fine e il fatto che fosse appunto una donna colta, laica, forse di origine aristocratica e appartenente ad una delle tante comunità del XIII-XIV secolo ispirate agli ideali evangelici. Ma se intorno all'esistenza terrena della Porete i dati storici scarseggiano, ci resta per fortuna un documento eccezionale scampato al rogo: il suo libro “eretico” che - come ben ricorda la Guarnieri - appartiene ad un preciso genere letterario, i cosiddetti Specchi medievali (dal latino speculum: termine polisemico che può persino significare descrizione/spiegazione). sorta di trattati intorno a innumerevoli tematiche, dal carattere squisitamente educativo/informativo.
Quello di Margherita è in forma di dialogo o, forse meglio, di dibattito filosofico scandito attraverso battute dal sapore teatrale. Partecipano in primo luogo alla discussione due personaggi: Ragione ed Anima. Ognuno sostiene la propria tesi in merito a religione, uomo, Dio, spirito, rettitudine, vangelo. Intervengono a dir la loro altre figure personificate, come: Virtù, Cortesia, Timore, Desiderio; ma tra tutte spicca quella di Amore, che vince in saggezza e carità.
La poesia/avvertenza con cui si apre “Lo specchio delle anime semplici” ci fornisce già una indicazione basilare della prospettiva mediante la quale la nostra beghina intende cogliere la dimensione spirituale: “Voi che in questo libro leggerete/ (...) Umiltà dovete avere”. Tale humilitas ci ricorda come noi, sedicenti padroni del mondo. siamo alla fin fine solo humus, terra. Da essa deriviamo, dipendiamo e ad essa torneremo. Farci umili è dunque prerequisito indispensabile a un cammino che ci avvicini a Dio. Significa però al contempo riconoscerci soggetti a una serie di necessità - e limiti che ci condizionano (siamo, quantomeno nel corpo, finiti, vulnerabili, bisognosi di ciò che ci proviene dall'esterno di noi stessi). Incarnare l'umiltà significa inoltre sconfiggere le vane ambizioni/presunzioni egoiche; comporta altresì comprendere che ogni attaccamento è deleterio, addirittura quello nei confronti di Dio, ovvero di quell'idolo rassicurante e benevolo che noi osiamo chiamare Dio, a cui l'umanità troppo spesso si rivolge solo per ottenere qualcosa in cambio. Ma il desiderio dell'Assoluto - ci ammonisce lo “Specchio” - non si scosta molto dalle altre brame mondane.
“Prego Dio che mi liberi da Dio” recita quindi. in perfetta sintonia con la nostra beghina. Meister Eckart (uno tra i più grandi mistici occidentali), dicendosi pronto ad accettare qualsiasi cosa gli accada; in un si alla vita fatto proprio anche dalla coeva Margherita, che sostiene provocatoriamente come l'anima nobile: “non fa conto di vergogna né d'onore, di povertà né di ricchezza, d'agio o di disagio, d'amore o d'odio, d'inferno né di paradiso”. Dichiarazione che la distanzia alquanto dal comune sentimento religioso dominante nel medioevo (e nel terzo millennio). Cosi, svuotandosi da ogni mira e pretesa, una tale anima può divenire - per dirla con Agostino - capax dei : capace di (ricevere) dio; in grado cioè di accoglierlo. Così questo farsi nulla dell'anima è l'unica condizione per poter divenire colma di tutto. E lieta di una gioia pacificatrice. “Perché da nessuna parte ella trova cosa nella quale non trovi Dio”, osserva con grande serenità la nostra mistica, auspicando da parte di ciascuno un abbandono totale alla volontà di Dio: fedele in questo al dettato della preghiera insegnataci dal Cristo: il Padre nostro. Certo vi è un paradosso nello “Specchio”. Se è vero che una tale pienezza di quiete e di vita all'insegna del divino: “Non consente di pensarla né di dirla né di scriverla”, perché tentare di farlo, allora, se non ciò è possibile? Ma paradossi non si risolvono/comprendono, forzandoli con le armi grossolane della ragione, bensì abitandoli, calandoci in essi senza presunzione e tollerandone il messaggio destabilizzante. Sempre Agostino sosteneva che la miglior cosa che può far l'uomo trattando di Dio è tacere. Eppure il vescovo di Ippona non ha fatto altro che parlare di Lui e del suo spirito presente in ogni cosa. Lo stesso fa Margherita, ben consapevole che ogni discorso intorno allo spirito è solo metafora, immagine, cifra allusiva. Un po' alla stregua del dito che indica la luna. Si tratta di volgersi a quella, non disquisire sull'indice teso solo ad accennare al divino.
Per cui ci interessa lino ad un certo punto il numero preciso dei «sette stati dell'Anima devota” che il trattato con un eccesso di pedanteria descrive. Sette, settanta o uno solo, ciò che conta per il lettore è cercar di cogliere l'essenziale dell'insegnamento espresso nello “Specchio”: l'invito al distacco (ma non all'assenza d’amore), all'eliminazione del superfluo, all'accettazione della necessità ineludibile, non volendo impadronirsi di nulla e rigettando la dimensione dell'avere per quella dell'essere. Solo in questo modo di porsi - dice bene Vannini nel suo commento al testo - Cristo diventa davvero il Lògos: Il Verbo che dà senso a ogni umano discorso, evitando però di farsi dogma in questo o quel libro. fossilizzandosi in questa o quella parola.