Meglio un fallito che un vincitore
L'Osservatore Romano, 30 ottobre 2014
di Marco Vannini
Ferruccio Parazzoli, Né potere né gloria, Rizzoli 2014, pag 240, euro 16,00.
Non siamo affatto sorpresi nel constatate come la riflessione sul Cristo sia ancora una volta oggetto delle pagine scritte dall'Autore, narratore e saggista ben noto, assai attento alla problematica religiosa: basti ricordare la sua Vita di Gesù del 1999, o il recente Eclisse del Dio unico (2012).
Il titolo del libro in oggetto richiama direttamente Il potere e la gloria di Graham Greene, del 1940, ove il protagonista, un prete messicano, debole e peccatore, trova solo alla fine il coraggio di non tradire la propria vocazione. I punti di contatto tra il celebre romanzo dello scrittore inglese e questo di Parazzoli sono molti, ma il più significativo ci sembra sia proprio quello del tradimento. Non a caso il libro si presenta in copertina come “Indagine su un uomo tradito, Gesù”: tradito all'inizio, ma forse anche tradito da molti dei suoi pretesi seguaci? Quello della indagine in àmbito religioso è un genere letterario oggi diffuso e fortunato, ma non si tratta solo di una moda, perché il nostro tempo di grande disorientamento spirituale vive profondamente l'esigenza di fare chiarezza dal punto di vista storico nel campo essenziale della fede, che è e deve essere loghikè latrèia, culto razionale, come dice san Paolo, e non fantasiosa superstizione, come molti invece ritengono.
La caratteristica principale e il punto di forza di Nè potere né gloria stanno proprio nel coniugare felicemente l'aspetto potremmo dire scientifico della indagine con quello narrativo, con un risultato davvero assai suggestivo.
Nel romanzo si immagina infatti che Valerio Massimo, lo storico romano cui si devono i celebri Fatti e detti memorabili, trovandosi in Palestina, assista per caso alla crocifissione di Gesù e, restandone colpito, decida di mettersi alla ricerca delle testimonianze su questo uomo, scrivendone come resoconto una serie di lettere all'amico Sesto Pompeo. L'invenzione letteraria appoggia perciò su un dato oggettivo , dal momento che Valerio Massimo fu in effetti in Oriente a séguito del proconsole Sesto Pompeo, come pure su altri dati – almeno quelli desumibili dai vangeli secondo la più moderna ricerca storica - si fonda tutto il romanzo. Le lettere descrivono così il viaggio che, partendo da Gerusalemme e passando per le città e i villaggi della Palestina, dalla Giudea verso la Galilea, attraverso la Samaria, il protagonista conduce, toccando i luoghi della predicazione di Gesù e conoscendo – a volte casualmente, a volte di proposito – le persone che egli aveva incontrato e in alcuni casi guarito. Il fatto che Gesù sia stato anche un taumaturgo è dato ormai per certo anche dalla ricerca storica indipendente, per cui le testimonianze raccolte da Valerio nel suo itinerario lo confermano, ma Parazzoli, davvero evangelicamente, nel racconto mette in evidenza il fatto che tali “segni”, come sempre l'evangelista Giovanni chiama i miracoli, non sono mai l'essenziale: essenziale è il messaggio, la parola e l'esempio di Gesù. Il segno va interpretato e su di esso si può sempre discutere: così Giairo, il capo della sinagoga di Cafarnao, ritiene che sua figlia non fosse morta, ma solo in coma quando Gesù l'ha riportata in vita. Questo è solo un esempio della coloritura veristica che il romanzo dà alle vicende narrate dai vangeli: i personaggi ricevono tutti un nome e delle caratteristiche precise, compresi i difetti, tanto da apparire al lettore concreti, veri ed umani come ciascuno di noi.
A parte Maria, che dà testimonianza di essere “la porta” (non solo in quanto madre in senso fisico) e la Maddalena - il cui amore per Gesù è assoluto, tanto che aspetta con fiducia che ritorni, come ha promesso - le persone incontrate da Valerio nel suo viaggio hanno per un motivo o per l'altro dimenticato quell' uomo, quando non l'hanno addirittura tradito: Né potere né gloria, dunque, è ciò che egli ottenne in vita. Molti hanno pensato che gli dovessero spettare dopo , il che di fatto significa che ne dovessero beneficiare i suoi seguaci, la Chiesa, ma questo è proprio ciò che il romanzo mette in dubbio:
“Come forse leggerai in queste pagine, qualcuno dice di averlo incontrato anche dopo morto. Io l'ho visto una volta sola, su quella croce, e non voglio più rivederlo né morto né risorto. Preferisco un fallito a un vincitore”, sono infatti le parole con cui Valerio Massimo pone fine al suo resoconto e il libro si conclude. E qui il lettore deve stare molto attento, perché la messa tra parentesi della resurrezione – peraltro non affatto negata – significa solo la ripulsa dell'eventuale legame al potere, alla gloria, ovvero ai valori di quel “mondo” che è, evangelicamente, opposto al regno di Dio, e che – il libro lo sottolinea spesso – la predicazione di Gesù ha contestato. La giustizia fugge sempre dal campo dei vincitori, scriveva Simone Weil, e in questo senso - ovvero perché la giustizia è dalla parte dello sconfitto, del fallito, appunto - si può e forse si deve preferire un fallito a un vincitore.
Non rischiano allora di essere addirittura suoi traditori quei cristiani che pensano che potere e gloria debbano spettare a Gesù? Dietro il coinvolgente racconto del viaggio e della ricerca di Valerio Massimo, appare così - implicito ma neanche troppo - un messaggio teologico, spirituale, vorrei dire mistico: quello dell'amore disinteressato verso il Cristo.
Ho cercato solo, “alla luce della giustizia e della ragione”, i motivi che portarono alla croce quell'uomo, risponde Valerio alla Maddalena, quando, con femminile profondità, gli fa notare che, avendolo cercato, avendo “camminato lungo il suo cammino”, lui lo ha amato.
“Non posso nascondermi che ho finito per amarlo, quel piccolo Yehoshua che ha gettato via la sua vita per tutti coloro che lo hanno già dimenticato”, ammette infatti Valerio alla fine del romanzo. E qui un lettore non sprovveduto riconoscerà facilmente una non troppo lontana eco delle parole che Ignazio di Loyola rivolgeva al suo Capitano : Non mi spinge a servirti la brama del paradiso, né il tanto temuto inferno mi spinge a non offenderti: molto più più mi muove la pena per te, sulla croce....
L'unico incontro che Valerio ha avuto con Gesù è quello, casuale, sul Golgota, però “ha camminato lungo il suo cammino” – dunque, alla lettera, lo ha seguito, senza cercare né potere né gloria: a questa riflessione, e a tutte quelle che ne conseguono, ci spinge la lettura di questo, che è perciò qualcosa di più di un pur affascinante romanzo.