Vannini: controversa ricerca sulle orme di Eckhart

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di Maurizio Schoepflin, in: <Avvenire>, 11 marzo 2010.

A poche settimane dalla sua uscita in libreria questo saggio di Marco Vannini ha già suscitato notevoli polemiche. Qualcuno, infatti, gli ha rimproverato la presa di distanza dalla componente ebraico-biblica del cristianesimo, che rischierebbe di confinarlo in un esangue spiritualismo; qualcun altro, invece, ha apprezzato il richiamo all’interiorità, in un tempo in cui nel cristianesimo stesso sembra prevalere il rischio opposto, ovvero quello di appiattirsi su di una dimensione tutta sociale, «mondana». In realtà, chi conosce il lavoro dell’autore, che in oltre un trentennio di solitaria fatica ha riportato alla luce alcuni dei testi più profondi della mistica cristiana – da Eckhart a Silesius, da Margherita Porete a Gerson e a Fénelon, dalla teologia tedesca a Sebastian Franck – non dovrebbe meravigliarsi troppo, giacché questo volume, il cui titolo, che certamente suona provocatorio, è ripreso da una celebre espressione di una predica di Meister Eckhart, non fa altro che esplicitare ulteriormente quanto Vannini va scrivendo negli ultimi anni. Proprio fondandosi sull’insegnamento dei maestri sopra citati, ai quali però va aggiunta la lezione tutta attuale di Simone Weil, lo studioso fiorentino ha maturato la convinzione che non si possono costruire teologie né su base filosofica, né su base scritturistica, dal momento che ciò è incompatibile con la cultura moderna e contemporanea. Secondo Vannini, occorre invece recuperare appieno l’appello centrale dell’evangelo, che è quello che esorta alla rinuncia alla propria volontà, all’ « odiare la propria anima », a morire a se stessi, per poter sperimentare nel profondo della nostra interiorità la rinascita nello Spirito. È convinzione dell’autore che dinanzi a chi compie questo percorso scompaiono le credenze e le immagini « religiose » determinate: non a caso « atei spirituali » furono polemicamente chiamati, all’inizio dell’età moderna, i seguaci di Eckhart e della teologia tedesca. E non v’è dubbio che tale scomparsa, caldeggiata da Vannini, susciti non pochi dubbi e perplessità.

Tuttavia è innegabile che le sue riflessioni vadano al cuore stesso del cristianesimo e delle più profonde verità in esso contenute. Il lettore non tarderà a rendersi conto che la materia del libro e il modo in cui l’autore la tratta richiedono di essere avvicinati con attenzione particolare e cautela critica, ma nello stesso tempo non potrà non avvertire il fascino di argomenti che da secoli scaldano il cuore dei credenti, un fascino che la limpida scrittura di Vannini è in grado di trasmettere appieno.