Alla ricerca dell'assoluto

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La Repubblica, del 10 aprile 2004

di Marco Vannini

Che cos'è la preghiera? L'elevazione dell'anima a Dio, ha risposto per secoli, con le parole di Giovanni Damasceno, il mondo cristiano. E cosa è la mistica? L'esperienza di unione tra anima e Dio, risponde ancora concordemente quella stessa tradizione. Un profondo, essenziale rapporto lega dunque la mistica alla preghiera, in quanto la prima presuppone la seconda, ossia il movimento di tutta l'anima, intelligenza e amore (i due "occhi" dell'anima, secondo una metafora antichissima, precristiana) verso il bene, la luce: è infatti proprio in questo movimento che l'anima scopre la sua connaturalità con quella luce, quel bene, ovvero scopre se stessa e insieme Dio in quanto spirito - non immoto essere, ma movimento e vita, come insegna il vangelo di Giovanni. Ciò le è immediatamente chiaro, non solo ai livelli più alti di spiritualità, ma anche nella più semplice devozione, a condizione però che la preghiera sia solamente e puramente questo rivolgersi, ossia in essa non vi sia alcuna altra determinazione, legata a "immagini" del soggetto orante o di Colui verso il quale ci si rivolge. In questo senso la preghiera non è più recitazione di formule, invocazione, lamento, o che altro, ma diventa contemplazione pura. In quanto tale, ovvero in quanto rimozione di ogni determinazione, spogliamento, "morte dell'anima", essa non è solo elevazione verso l'alto, ma anche discesa nel profondo, cioè scoperta di quella realtà profonda dell'anima, quel "fondo", che niente ha a che fare con le sue manifestazioni più superficiali, esteriori, e in cui l'abisso del nulla divino si incontra con l'abisso del nulla dell'anima. Perciò bisogna sottolineare il fatto che la preghiera mistica esclude in particolare quel carattere di richiesta che è, invece, comunemente legato al concetto stesso di preghiera. Rivolgersi a Dio e poi chiedergli qualcosa è tanto assurdo quanto fare mille leghe (a piedi!) per recarsi a Roma a vedere il papa e poi, giunti di fronte a lui, chiedergli un fagiolo - scrive con la consueta ironia Meister Eckhart. E il senso è ben chiaro: è assurdo essere in rapporto con Dio, in comunione spirituale con Lui, dunque nella pura luce, ed andare a cercare qualcosa di comunque inferiore. Sotto questo profilo, anzi, la preghiera come richiesta viene bollata dal domenicano tedesco con parole di fuoco: chi si rivolge a Dio per chiedergli qualcosa lo ama come ama la vacca, che viene tenuta per avere il latte; lo segue come il cane segue la donna che porta la salsiccia, perché è interessato a quella; lo tratta come un servo, cui regala gli abiti vecchi e vili, i vestiti smessi , ecc. Chiedendo a Dio qualcosa di diverso da Lui si dimostra infatti che ciò che veramente amiamo, desideriamo, è quel qualcosa, non Dio, che diventa invece subordinato, strumentale - un servo, appunto, un idolo: «Chi chiede qualcosa di diverso da Dio sta adorando un idolo, e questa è ingiustizia, mancanza di fede, imperfezione, si potrebbe dire una vera eresia~.Quando chiedo qualcosa pregando - prosegue Eckhart - non sto pregando. Prego davvero quando non chiedo niente. Quando sono unito, là dove sono presenti tutte le cose, allora sono tutte ugualmente vicine e una cosa sola: tutte sono in Dio e tutte in me». Nella preghiera come contemplazione il mistico esperimenta appunto l'unità - unità tra anima e Dio, unità tra Dio e tutte le creature - ed allora non ha più senso il chiedere, perché questa esperienza è l'esperienza dell'assolutezza del presente: l'infinita bontà e bellezza del mondo si dispiega, qui ed ora, nella sua realtà, "senza perché", come la rosa dei celeberrimi versi di Angelus Silesius: «La rosa è senza perché, fiorisce perché fiorisce, a sé non bada, che tu la guardi non chiede». Tale si dispiega di fronte a chi, orientato verso l'immenso mare del bello, del bene, ha annullato la propria volontà, il proprio piccolo "io", e non bada appunto più a se stesso. Questo è il punto davvero discriminante: la preghiera come richiesta appare assurda e davvero blasfema solo nel distacco, ovvero quando è morta la volontà personale e, conformi all'Uno, uni-formi, e perciò identici in tutte le cose, si può pregare senza infingimento, senza menzogna: «sia fatta la tua volontà», trovando assoluta pace in quella "volontà", ossia in tutto ciò che avviene. Allora, nella completa unità e libertà dello spirito, questo mondo diventa un paradiso, come arditamente scrive l'Anonimo francofortese di quella Teologia tedesca che Schopenhauer giustamente metteva sullo stesso piano dei grandissimi d'oriente e occidente, Buddha o Platone. E allora non v'è nemmeno più la preghiera come attività particolare, da esercitarsi in momenti separati, determinati - quasi un meccanico, assurdo aprire e chiudere il rubinetto di comunicazione con Dio -, perché è l'intera vita a diventare preghiera, contemplazione, dal momento che il mondo non è più diviso in due, sacro e profano, e «preparare la cena al focolare non è operazione meno nobile che cantare salmi in chiesa». Anzi, l'esperienza spirituale, quella appunto dell'unità di tutte le creature, in quanto frutto dell'amore di Dio, non è affatto fuga estatica dalla società, dal mondo, ma, al contrario, genera subito la carità, nella quale «il bene degli altri non ti è in nulla meno caro del tuo», per cui «se anche fossi in rapimento grande come quello di san Paolo al terzo cielo e un povero avesse bisogno di una minestra, dovrei uscire dal rapimento per preparare la minestra al povero».