Il misticismo vive in tutte le culture

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di Giovanni Reale, in: <Corriere della Sera>, 10 dicembre 2010

Il testo di Vannini, le «Upanishad» riedite

Il termine «misticismo» esprime una esperienza spirituale che congiunge il soggetto con l’oggetto, e in particolare l’unione o identificazione spirituale dell’anima con Dio. Il misticismo è ritenuto in genere connesso quasi esclusivamente con la religione cristiana. Ma, in realtà, si tratta di un fenomeno a vasto raggio che si estende non solo a tutte le grandi religioni, ma anche alla filosofia, e proprio a partire da quella classica.

La prima testimonianza di tale esperienza si ha nel Simposio di Platone, nel finale del discorso che Socrate fa sull’Eros (come hanno riconosciuto non pochi studiosi: P. Natorp, A. E. Taylor, G. Krüger, K. Richter). Si tratta di quel momento della vita «che più di ogni altro merita di essere vissuto», in cui si contempla il Bello-in-sé, e ci si sente pronti «pur di vedere l’amato e stare sempre insieme a lui, a non mangiare e bere se fosse possibile, ma contemplarlo solo e stare con lui» e in cui diventiamo immortali.

Nell’ambito del pensiero greco l’esperienzamistica si ritrova solo in Plotino (e nei neoplatonici), con approfondimenti paradigmatici. Nelle Enneadi leggiamo: «Questo è il fine dell’Anima: aver contatto con la luce di Lui e vedere la luce con la luce, ma non con la luce di qualcos’altro. Egli infatti è la stessa luce grazie alla quale essa può vedere (...). Ma come può avvenire questo? Spogliati di tutto!» (traduzione di R. Radice, Mondadori). Cerca di congiungerti «solo con Lui solo».

In epoca moderna Hegel ha ripreso la figura della mistica addirittura come espressione metaforica del concetto di «speculativo» come unità inclusiva del soggettivo e dell’oggettivo, e dice: «Si deve ricordare che per speculativo si va inteso quello che in altri tempi, soprattutto in relazione alla coscienza religiosa e al suo contenuto, soleva essere definito mistico».

L’esperienza mistica è comunque per sua natura connessa con il religioso, come viene mostrato nel bel libro di Marco Vannini, La mistica delle religioni (Le Lettere, pp. 389, € 20) in questi giorni in libreria. Vannini - uno dei massimi esperti in materia a livello nazionale e internazionale - analizza in modo dettagliato questa esperienza spirituale nell’induismo, nel buddismo, nell’ebraismo, nell’islamismo e nel cristianesimo. La tesi di fondo del libro è che il misticismo si connette soprattutto con il cristianesimo, che si incentra su Cristo come Dio fatto uomo: «Ciò equivale a dire che il cristianesimo è religione mistica per eccellenza, e non nel senso che al suo interno la mistica può svilupparsi e fiorire (...) nel senso che "mistica" è l’essenza stessa del cristianesimo, il quale, senza la mistica, resta mera "credenza", non diversamente dalle altre religioni».

Fra le altre religioni quella che ha connessioni con il misticismo in maniera meno lontana dal cristianesimo è l’induismo: «Nella religione classica dell’India, a partire dai Veda e dalle Upanishad, è innanzitutto presente il concetto dell’unità essenziale di Dio e uomo: "questo sei tu", dice appunto la parola sacra delle Upanishad, rivelando all’uomo la sua realtà divina».

In questi giorni il lettore troverà nelle librerie la nuova edizione (con testo sanscrito a fronte) delle Upanishad a cura di Raphael (Bompiani, pp. 1.237, € 20), dove si legge: «Colui che ha realizzato il senza misura è beato e senza dualità»; «Si cerchi con estremo impegno di purificare la mente (...). Si diviene ciò che si pensa».

Vannini ritiene che il maggiore dei mistici cristiani sia Meister Eckhart (1260-1327/8), e dal punto di vista teoretico ha ragione; tuttavia, per l’afflato poetico Giovanni della Croce (1542-1591), del quale è in libreria dal primo dicembre l’opera omnia (con testo spagnolo a fronte) a cura di Pierluigi Boracco (Bompiani, pp. 2.450, € 45), non è da meno. È un’opera accuratissima, che presenta gli scritti del santo a partire da quelli minori che contengono in nuce concetti sviluppati nelle successive grandi opere, la Salita del Monte Carmelo e la Notte oscura.

L’uomo deve (come diceva Plotino) spogliarsi di tutto per poter congiungersi con Dio. Scrive Boracco: «Il libro della Salita del Monte Carmelo e il commento alla Notte oscura sono totalmente dedicati alla radicale spogliazione di sé, al vero e proprio denudamento che l’uomo deve saper operare in vista di questo coniugium (l’unione coniugale), dove Dio si consegnerà nudo e senza veli come già l’Uomo posto sulla Croce».

Per chi si accinge alla lettura di libri come questi vale, in ogni caso, ciò che Taylor diceva: «Se non abbiamo in noi quel tanto dimisticismo necessario per considerare l’annullarsi e il rinnovarsi dell’anima come il compito essenziale della vita, il discorso non avrà per noi un valore reale e non potremo fare altro che considerarlo un "bel sogno" mitologico».

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